La sfida di Petraeus per Kabul: vincere la guerra a Washington

La sfida di Petraeus per Kabul: vincere la guerra a Washington

È il generale della svolta in Irak. Per questo è finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, sulle copertine di riviste patinate, da Vanity Fair a GQ. Proprio come un’icona pop. David H. Petraeus, l’uomo mandato a Bagdad dall’Amministrazione Bush per cambiare il corso della guerra con una nuova strategia, sarà molto presto a Kabul.
Il Senato americano ha detto che tutto sarà fatto in fretta, affinché il generale, oggi a capo del Centcom, il comando che gestisce le operazioni militari americane in medio oriente e Asia centrale, sia in Afghanistan il prima possibile. Ora le sorti della guerra di Barack Obama a Kabul sono nelle sue mani, in un momento non facile per l’Afghanistan.
Il generale arriva forte della sua fama di uomo che ha cambiato la situazione in Irak. Ma l’Afghanistan non è l’Irak e la strategia che funzionò a Bagdad per ora non sta funzionando a Kabul. «Ho sempre detto che l’Afghanistan sarà la battaglia più dura», aveva detto nel 2008 Petraeus. Dopo l’uscita di scena di Stanley McChrystal, comandante delle forze Isaf a Kabul licenziato dal presidente Obama dopo un’incauta intervista a Rolling Stone, tocca ancora a lui.
Quando Petraeus arrivò in Irak, scrive il New York Times, il generale aveva il compito di cambiare strategia per dare una svolta al conflitto. Oggi con lui in Afghanistan non arriverà una nuova dottrina. Lo ha ricordato ieri parlando dal Giardino delle Rose della Casa Bianca anche il presidente americano Barack Obama: «Questo è un cambio di personale, non di strategia». McChrystal, il generale troppo loquace, stava infatti implementando esattamente quella dottrina della counterinsurgency teorizzata da Petraeus e messa in pratica dagli americani in Irak. E lo stava facendo, ricorda al Giornale Sean Naylor della rivista americana Army Times, sotto il comando del generale a quattro stelle Petraeus, guida del Centcom. «È importante ricordare che il generale Petraeus era già a capo delle operazioni in Afghanistan e McChrystal stava mettendo in pratica una dottrina sotto la sua supervisione». Per Naylor non ci saranno quindi cambiamenti sul campo dal punto di vista militare. Certo, occorre però ricordare che il teatro di guerra è differente: «In Afghanistan gli insorti sono più attivi in aree rurali; in Irak lo erano nelle città». Questo cambia l’approccio militare delle forze americane, ma la dottrina di fondo resta la stessa.
A Washington, intanto, l’affaire McChrystal ha riaperto il dibattito sul ritiro delle truppe. Il presidente Obama vuole che i primi soldati americani lascino nel luglio 2011. La settimana scorsa, al Congresso, Petraeus ha detto di appoggiare questi piani. Ma il Washington Post scrive che il generale potrebbe chiedere un rallentamento. E proprio ieri Obama ha dichiarato a riguardo: «Non abbiamo mai detto che da luglio 2011 spegneremo le luci e che ce ne andremo dall’Afghanistan».
David Petraeus in versione afghana non cambierà dunque strategia militare, ma trasformerà probabilmente molto la gestione del dossier politico. La crisi innescata dall’esplosivo articolo di Rolling Stone ha messo allo scoperto le incomprensioni tra leadership civile e militare negli Stati Uniti, le divisioni all’interno della squadra composta da Obama per gestire la questione Afghanistan. Con il suo sorriso conciliante, un certo fascino professorale, i suoi modi didascalici con la stampa ammaliata dalle sue presentazioni in Power Point, Petraeus potrebbe ricucire i rapporti tra i protagonisti di un dossier difficile. «La differenza più grande - spiega al Giornale Thomas Rid, esperto tedesco di questioni militari - sarà politica. Petraeus conosce la politica a Washington e all’interno della Nato. Non si può dire lo stesso di McChrystal».
Il generale cercherà dunque di fare in Afghanistan quello che ha fatto in Irak, tendendo conto delle enormi differenze tra i due Paesi: userà le 30mila truppe che il suo predecessore McChrystal è riuscito a ottenere a fine 2009 dall’Amministrazione Obama; tenterà di separare i talebani dalla popolazione civile, offrendo a chi depone le armi lavori, magari un posto tra le fila delle nuove forze armate afgane; punterà sulla difficile ricostruzione delle infrastrutture politiche e sociali. E nel frattempo, si dedicherà, come in Irak, a mantenere buoni i rapporti all’interno della squadra a sua disposizione. A Bagdad, uno dei molti motivi del successo del «surge» è stata la collaborazione tra il generale e l’ex ambasciatore Ryan Croker. Oggi, come capo del Centcom, Petraeus ha buoni rapporti con il dipartimento di Stato di Hillary Clinton ma anche con l’inviato speciale americano in Afghanistan e Pakistan Richard Holbrooke e l’ambasciatore Karl Einkberry.
Diverso rispetto a quello del suo predecessore potrebbe essere il rapporto con i vertici afghani.

Il presidente Hamid Karzai, che nelle ultime ore ha tifato per McChrystal, ha fatto sapere di essere soddisfatto della scelta di Obama. Ma, spiega Rid, Petraeus «eserciterà pressioni più costruttive sulla leadership afghana» e questo, forse, fa impensierire Kabul.

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