Sfogo nell’Unione: «Romano è cotto»

L’allarme del segretario di un partito di maggioranza: «Non c’è un piano B e se si va al voto anticipato è una catastrofe»

da Roma

Se qualcuno nell’Unione si illude che il caso Visco-Speciale si sia chiuso, e che il governo sia riuscito ad uscirne in modo indolore, dal Senato avvertono che non è così.
Che «solo Prodi può credere che il dibattito di mercoledì possa saltare»: il dibattito ci sarà, il voto rischia di essere segreto e la maggioranza di «ballare», tra Di Pietro e i malumori della Margherita, dicono nel centrosinistra, anche se si è cercato di levare di mezzo l’oggetto del contendere, con la rinuncia alle deleghe da parte del viceministro dell’Economia. Una rinuncia «temporanea», ha chiesto e ottenuto che si precisasse Vincenzo Visco. Ma nessuno ci crede: «È chiaro che quelle deleghe non verranno restituite né a breve né a medio termine», assicura un membro del governo. Certo, Prodi e Padoa-Schioppa, nello spingere il viceministro ad arrendersi per salvare il governo da un voto al Senato che rischiava di essere esplosivo, gli hanno assicurato che «quando la vicenda giudiziaria si sarà definitivamente chiusa, sarai reintegrato pienamente». Ma di qui ad allora potrebbe persino mancare un governo in cui reintegrarlo.
Prodi assicura che il caso è chiuso e che «ora la maggioranza è certamente più forte», e gli consentirà di «governare per tutti e cinque gli anni». La sicurezza del premier si basa su un dato di fatto che un segretario del centrosinistra sintetizza così: «Sappiamo tutti che Prodi è cotto, ma nessuno ha un piano B». Se non «la catastrofe di un voto anticipato che farebbe tornare Berlusconi a Palazzo Chigi». Lo stesso Veltroni, che pure nel bailamme di questi giorni è stato sondato per capire la sua disponibilità ad un’eventuale sostituzione in corsa del premier, preferisce stare per ora sulla riva del fiume: «In queste condizioni di sconfitta annunciata, se si andasse ad un voto ravvicinato, potrebbe rinunciare persino a candidarsi a premier», dice chi lo conosce bene nella Quercia. Prodi lo sa, e al vertice di venerdì dopo aver minacciato di andarsene aprendo la porta al voto, ha infierito sui suoi malmostosi ma impotenti alleati: «State tranquilli, io nel 2011 non ci sarò più». Fino ad allora, c’è. E va avanti senza cambiare una virgola del suo governo: ieri ha affermato che il dimezzamento dei ministri proposto da Fabio Mussi è «un’idea». Ma in realtà di rimpasto non vuol nemmeno sentir parlare.

E Piero Fassino, che molti nel suo partito spingevano a chiedere un rimpasto suggerendogli di entrare nel governo per dargli una «regia politica» (e già circolava un organigramma che prevedeva Fassino ministro, Bersani capogruppo dell’Ulivo e Franceschini coordinatore del Partito democratico), ha tagliato corto nel vertice della Quercia di giovedì: «Molti mi sollecitano, ma il governo non si può toccare: in queste condizioni nessuno è in grado di “pilotare” una crisi. Si sa come si comincia, ma non come si finisce».

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