L'occupazione abusiva di stabili privati di fatto abbandonati e di alloggi pubblici, che spesso non godono di sorte migliore, è uno dei problemi più gravi della città. L'illegalità propria delle occupazioni si salda ad altre forme di grande e piccolo crimine diffuso, fa da moltiplicatore.
Ed ecco sorgere il «fortino della droga», le casbah dei venditori di prodotti taroccati e dei clandestini dediti a qualsiasi attività irregolare.
Ogni stabile occupato diventa «enclave» senza regola, che infetta a danno dei cittadini perbene, e più indifesi, le aree circostanti. E per le case popolari? Non c'è giorno che la cronaca non segnali abusi, illecite speculazioni, tensioni, violenze.
Ogni qual volta l'allarme supera una certa soglia arrivano gli annunci di una nuova e più efficace stagione di sgomberi, per il ripristino della legge e dell'ordine. Ma gli sgomberi si fanno, se non col contagocce, in misura sempre inferiore alle necessità. Un po' perché gli abusivi hanno sempre difensori più rumorosi di che si preoccupa degli onesti, un po' perché c'è la volontà di non creare forti tensioni sociali. Specie in questi tempi di crisi.
Ma siamo sicuri che la politica del lasciar correre non crei tensioni? Gli stabili occupati, privati o pubblici, determinano situazione di soggezione e di pericolo - specialmente per anziani, donne, minori - in tanti quartieri e la rabbia degli offesi sfocia in comitati di protesta, presidi, in un ribollire di mugugni che fanno lievitare la voglia insana della «giustizia fai da te». Specie in tempi di crisi.
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