Sgombero a Tor Sapienza: guerra tra nomadi

Claudio Pompei

Il sindaco Walter Veltroni qualche giorno fa ha impartito una «lezione» di savoir faire al suo omologo di Bologna Sergio Cofferati: «In questi anni - ha detto - abbiamo spostato migliaia di persone da campi nomadi e centri abusivi senza mai provocare incidenti e proteste». Veltroni ha, tra l’altro, citato il caso dell’ex Snia Viscosa: in quell’occasione lui stesso, che ogni giorno parla di legalità e trasparenza, chiese - e ottenne da questore e prefetto - che le forze dell’ordine non identificassero nessuno degli occupanti abusivi. Il risultato di quel «trasloco» è oggi sotto gli occhi di tutti: solo il Campidoglio non se ne accorge. Gli occupanti sono tornati in gran numero nell’ex area industriale dismessa, forse per far da degna cornice ai «vicini» del centro sociale di via Prenestina.
A smentire le facili profezie del sindaco (al di là delle ricorrenti proteste di abitanti, comitati di quartiere e degli stessi nomadi - quelli, per esempio, deportati nella fangosa tendopoli di Castel Romano sulla Pontina) ieri mattina si è registrato l’ennesimo incidente di percorso. Si è scatenata, cioè, una guerra tra poveri, che ha portato i Rom residenti in un campo sosta del XIX municipio a circondare le loro baracche e roulotte con barricate che sono state incendiate per impedire il trasferimento di trenta famiglie appena sgomberate dall’area, anch’essa abusiva, di via Luigi Nono, a Tor Sapienza, dov’erano ormai insediate da circa unici anni.
Con una buona dose di cinismo, di fronte al rischio che la situazione degenerasse, la polizia municipale ha avuto l’ordine di dirottare i nomadi appena sgomberati al Roman River un centro di accoglienza che il Comune ha preso in affitto sulla via Tiberina.
Veltroni, ovviamente, non si è lasciato sfuggire l’occasione per farsi vedere dagli abitanti della zona che per quattro anni aveva, invece, ignorato nonostante le richieste di intervento. Accompagnato dal presidente del VII municipio Stefano Tozzi, di Rifondazione comunista, il sindaco ha stretto la mano ai residenti e ha subito annunciato: «In quest’area ci faremo un bel parco giochi per i bambini». Poi ha ripetuto a menadito la lezioncina impartita a Cofferati: «In questi anni siamo riusciti a sistemare quattromila persone e spostarle in centri adatti dove sono andati a stare meglio». Sarebbe interessante sentire il parere dei «sistemati» o dei tanti romani che da anni sono alle prese con problemi di vivibilità per la vicinanza di altri campi sosta. Ma se il sindaco avesse avuto la pazienza di ascoltare i racconti degli abitanti di Tor Sapienza - liberati da un incubo che durava da più di dieci anni - probabilmente si sarebbe fatto un’idea precisa del problema nomadi. Lo sfogo più ricorrente? «Non ce la facevamo più». Ognuno dei residenti in via Luigi Nono ha racconta la propria storia di paura e di timore nei confronti di quelle persone che in qualche modo si erano impossessate di parte del territorio.
Nel campo nomadi ora restano soltanto le tracce di coloro che per anni vi hanno vissuto: qualche gallina che corre da una parte all’altra sulla terra incolta, vasi di fiori gettati, cumuli di macerie accatastate, con i resti di sedie, di tavoli e di bagni chimici. Tutto intorno all’area, prima protetta da un’alta siepe fatta crescere appositamente dai nomadi giostrai, ora ci sono le transenne della polizia municipale.
«Non eravamo nemmeno liberi di affacciarci alle finestre - ha detto un cittadino - perché loro pensavano che volevamo spiarli. E ci tiravano contro i mattoni». «A me è capitato diverse volte - ha spiegato una signora che abita nella zona - di rimanere bloccata con la mia auto perché qualcuno di loro non mi faceva passare, per il puro gusto di farci dei dispetti».

«L’ultima me l’hanno fatta ieri, proprio mentre andavano via - ha raccontato invece il bidello della scuola materna ed elementare Emily Dickinson -. Hanno preso a bastonate il citofono dell’istituto che adesso non funziona più».

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