Cronaca locale

Sguardi diversi, anzi collaterali Quando l’arte sposa il cinema

All’Hangar Bicocca sedici artisti rileggono film cult, da Antonioni a Walt Disney

Arte e cinema: due mondi vicini, linguaggi che dialogano fra loro. Alle corrispondenze fra questi universi è dedicata Collateral. Quando l'arte guarda il cinema, l’esposizione allestita all’Hangar Bicocca dal 1° febbraio al 15 marzo. In mostra i lavori di 16 artisti, che intervenendo su film cult o su alcune sequenze, propongono una rilettura originale, ottenuta attraverso strumenti retorici quali lo spostamento, lo slittamento, l’accostamento, la giustapposizione, il rovesciamento, la serialità.
Collateral è la prima mostra italiana che si propone di sondare in modo approfondito gli aspetti che legano il cinema all’arte. Del resto, spiega la curatrice Adelina von Fürstenberg «la cinematografia stessa può essere considerata l’evento artistico più caratteristico del Novecento, per novità e vitalità». All’interno dell’hangar, l’architetto Andreas Angelidakis ha allestito numerose sale aperte che ospitano installazioni video, ognuna delle quali evoca una celebre pellicola. Si va da Eclisse di Michelangelo Antonioni nell’opera di Clemens von Wedemeyer alle citazioni di Attraverso uno specchio scuro e Persona di Ingmar Bergman nell’opera di Runa Islam. Fra gli altri film cult rappresentati, Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet nel video di Pierre Huyghe, Il libro della giungla di Walt Disney nel lavoro di Pierre Bismuth, Schindler’s list di Steven Spielberg nell’opera di Omer Fast, Superman di Richard Donner nel video di Mike Kalley, Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni nell’installazione di Carola Spadoni, artista romana, unica rappresentante italiana. Infine, Punishment Park di Peter Watkins - film del 1971 censurato per 25 anni negli Stati Uniti -, da cui ha tratto ispirazione Melik Ohanian per il suo lavoro. «La collocazione degli artisti presenti nella mostra è di difficile definizione - continua la curatrice -, perché si pongono in una zona di confine fra due sistemi. Per le modalità di esposizione, partecipano a quello delle arti figurative, per il linguaggio impiegato, a quello dell’arte cinematografica». Di qui la scelta del nome Collateral, che «indica insieme la non collocazione precisa dei lavori presentati, sempre a lato fra cinema e arte, e, nello stesso tempo, rappresenta la citazione di un film di Michael Mann del 2004, un esempio di grande cinema». L’incontro fra arte e grande schermo, spiega Adelina von Fürstenberg, risale a un periodo a cavallo fra gli anni Venti e Trenta: «Avvenne con il dada e il surrealismo, proseguendo grazie agli artisti della pop art, fra i quali Andy Warhol». Da allora il rapporto è stato sempre più stretto, fino ad arrivare ai giorni nostri, nei quali la tecnologia e lo sviluppo del digitale permettono a chiunque di confezionare film e di intervenire sulle pellicole, elaborando opere autonome, con un linguaggio particolare. «In questo modo - conclude la von Fürstenberg - il cinema si avvicina alla scrittura.

Ognuno, infatti, ha a disposizione i mezzi per fare film e ciò porta a una maggiore libertà creativa».

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