Giù la maschera

Lo Shakespeare tradotto da "Eusebio" e poi finito nel dimenticatoio

Dagli archivi del Piccolo Teatro di Milano emerge una versione sconosciuta del "Giulio Cesare" firmata dal poeta-giornalista nel 1953. Non un lavoro d'occasione ma d'artista

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Poeta, giornalista - il secondo mestiere - e poi critico teatrale, melomane, cantale lirico mancato (è quello che avrebbe davvero voluto fare). E traduttore. Per passione e per necessità economiche.

Che Eugenio Montale lavorasse - e tanto - come traduttore, è cosa nota. Frequentava più lingue (inglese, francese, spagnolo) e senza preclusioni di epoche o generi. Romanzi, racconti, testi teatrali. Si cimentò con John Steinbeck, Herman Melville, Miguel de Cervantes (e non è il caso di approfondire qui la questione dei suoi ghost, da Lucia Rodocanachi a Maria Luisa Spaziani e le varie Muse dalle quali prendeva in prestito, diciamo così, il lavoro...). E tradusse soprattutto William Shakespeare. «Sì, certo, lo sappiamo: il Timone d'Atene, il Racconto d'inverno, La commedia degli errori e Amleto - direte voi -. Quattro opere in tutto». No. Cinque.

Ben pochi ne erano a conoscenza, ma esiste un'altra traduzione scespiriana firmata da Montale, che qualcuno ebbe la fortuna di ascoltare a teatro ma nessuno - fino a oggi - di leggere. Dagli archivi del Piccolo Teatro di Milano è emersa infatti una versione del Giulio Cesare di Shakespeare finora inedita, grazie alla traduzione del poeta-giornalista. Eccola: William Shakespeare, Giulio Cesare nella traduzione di Eugenio Montale (Interlinea, pagg. 208, euro 18; a cura di Luca Carlo Rossi).

Nata su commissione, in un momento in cui Montale vive già a Milano, dove lavora alla Terza pagina del Corriere della sera (si occupa soprattutto di Scala e critica musicale), la nuova traduzione del Giulio Cesare gli viene chiesta dal Piccolo Teatro per essere messa in scena nella stagione 1953-54, destinata quindi alla recitazione senza pensare a un esito editoriale. I dioscuri Paolo Grassi e Giorgio Strehler coinvolgono Montale dopo la sfumata possibilità di rappresentare all'aperto la sua versione del Dottor Faust di Marlowe. I primi scambi avvengono a colpi di telegrammi, nell'agosto del '53, mentre Montale è al Lido di Venezia, impiegato (altra cosa che nessuno sa) come presidente della giuria della Mostra del cinema. Il problema, come sempre, sono i tempi di consegna e il sovraccarico di lavoro, ma alla fine, forse aiutato da qualcuno o qualcuna, Eugenio-Eusebio consegna in tempo per le prove (e riesce anche a scrivere un paio di cartelle per il Programma di sala, che il Giornale pubblica in questa pagina). Il 20 novembre il Giulio Cesare debutta nella sala di via Rovello e poi viene eseguito per una settantina di recite fra l'Italia e il Sud America (ne esiste anche una registrazione radiofonica per la Rai trasmessa il 18 gennaio 1955).

E com'è il Giulio Cesare montaliano? Come ci spiega il curatore, Luca Carlo Rossi, italianista dell'Università di Bergamo: «È vero che Montale si mette al servizio di Shakespeare, ma essendo Montale ogni tanto rifila la sua zampata, riconoscibile nella scelta lessicale, nel tono, nel colore». Il futuro Nobel (siamo nel '53, mancano ancora 22 anni...) si muove in punta di piedi, insomma; però la sua personalità artistica non è solo di servizio, «da copista», ma da poeta. Un esempio? «Il male che gli uomini fanno, sopravvive ad essi; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e sia così di Cesare».

E ciò basti.

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