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Sharon dichiara «guerra totale» alla Jihad Nuovo omicidio mirato e raid aerei su Gaza

Ucciso in un blitz un leader del gruppo armato che giura vendetta e minaccia attacchi suicidi

da Gerusalemme

Diventa sempre più pesante la guerra dichiarata da Israele contro il gruppo integralista della Jihad islamica, responsabile dell’attacco kamikaze al mercato di Hadera dove sono morti cinque israeliani. Le rappresaglie non si fermano: ieri all’alba è stato ucciso nel campo profughi di Jabalya Shaadi Mahan, comandante militare della Jihad per il nord di Gaza. Nel raid sono morti altri sette palestinesi.
Il gruppo armato integralista ha subito giurato vendetta: «Israele ha spalancato le porte dell'inferno», ha minacciato un portavoce a Gaza. La polizia israeliana è in stato di allerta, nel timore che i miliziani cerchino di attuare un nuovo attacco kamikaze, dopo quello di Hadera. La Jihad, che aveva rivendicato l'attentato, ha affermato di avere voluto vendicare la morte di un altro suo comandante militare, ucciso in uno scontro a fuoco con Israele domenica scorsa in Cisgiordania. E dopo l’attentato, lo Stato ebraico ha dichiarato una «guerra totale» contro la Jihad Islamica: ha sigillato i Territori, ha rafforzato le posizioni dell'esercito nel nord della Cisgiordania e ha deciso di rispondere con raid immediati a ogni lancio di razzi Qassam da Gaza verso il proprio territorio. E ieri, infatti, quattro raid aerei sono stati lanciati contro il nord della Striscia, contro le aree disabitate da dove i miliziani lanciano i Qassam. In uno dei raid è stato ucciso un miliziano delle brigate al-Aqsa, il braccio armato del movimento al-Fatah.
Israele, che accusa l'Anp di non avere fatto nulla per porre fine al terrorismo palestinese, afferma di volere andare fino in fondo dopo l'attentato kamikaze di Hadera, il terzo rivendicato dalla Jihad in violazione della tregua precaria in vigore da febbraio. «Le organizzazioni del terrore devono sapere che daremo loro la caccia sempre e ovunque», ha affermato ieri il ministro degli Esteri Silvan Shalom.
Dopo il sanguinoso raid israeliano della notte scorsa, minacce di rompere la tregua con Israele, in vigore da febbraio, sono venute ieri oltre che dalla Jihad anche da esponenti di Hamas e delle brigate al-Aqsa. Ventimila persone, fra cui molti uomini armati, hanno partecipato ai funerali di Mahan e degli altri palestinesi uccisi nel raid urlando «morte a Israele».
Con l'impennata di violenza degli ultimi giorni si è del tutto arenato il dialogo politico fra Israele e l'Anp. Il premier Ariel Sharon ha detto che non intende incontrare il presidente palestinese Abu Mazen fino a quando non avrà preso misure contro i gruppi armati. Un vertice fra i due leader, più volte rinviato, era previsto per novembre, ma al momento sembra improbabile che possa svolgersi. Il ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz si è detto pessimista circa la possibilità di arrivare alla pace con l'attuale dirigenza palestinese. «Ho forti dubbi che si possa arrivare un giorno a una pace con l'attuale dirigenza palestinese» ha detto, aggiungendo che «bisognerà attendere la generazione seguente, e nel frattempo potremo al massimo giungere ad accordi intermedi».

«Non penso - ha avvertito Mofaz - che uno Stato palestinese possa nascere nei prossimi anni».

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