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Si commemora la Shoah, ma non si vuole vedere cosa minaccia oggi Israele

Giusto ricordare cosa accadde nei lager, ma è più importante denunciare l’antisemitismo e l’antisionismo crescenti

Si commemora la Shoah, ma non si vuole vedere cosa minaccia oggi Israele

La vigilia della «Giornata della Memoria» ci mette di fronte alla constatazione paradossale che il modo migliore per spiegare il passato - lo sterminio degli ebrei europei di settant’anni fa - è prendere atto delle minacce del presente. Qualsiasi cosa si pensi delle politiche dello Stato di Israele, non si può non constatare che nessun altro Paese al mondo - nemmeno Paesi in cui avvengono fatti ben più gravi - è soggetto alla minaccia di distruzione. E si tratta di una minaccia molto concreta: migliaia e migliaia di missili circondano ormai Israele e ogni parte del suo esiguo territorio può essere colpita. Il Paese si attrezza a vivere sottoterra: si scavano rifugi ovunque, dove poter vivere per mesi, ed è in costruzione il più grande ospedale sotterraneo del mondo. Questo assedio è diretto da un Paese, l’Iran, che sta per dotarsi dell’arma atomica, e il cui presidente Ahmadinejad non fa passare giorno senza minacciare di estirpare Israele dalla faccia della terra; e che oltretutto è il campione del negazionismo.

Questa è la realtà che bisognerebbe illustrare nel «Giorno della Memoria»: spiegare come si prepari una strage di massa, un genocidio, come quello del passato. Bisognerebbe spiegare come il silenzio e la viltà possano facilitarne la realizzazione; spiegare che l’ONU invece di decretare solennemente che nessuno Stato da essa riconosciuto può essere minacciato di annientamento, che la comunità internazionale non lo consentirà, tace e si guarda dal condannare le folli dichiarazioni del dittatore iraniano. Bisognerebbe raccontare che un gruppo di personalità europee, tra cui due ex-presidenti del consiglio italiani, Romano Prodi e Giuliano Amato, hanno chiesto sanzioni contro Israele, senza dire una parola sulle concrete minacce di distruzione che pesano su di esso e tantomeno condannare Ahmadinejad e il suo negazionismo del passato e del presente.

Invece di parlare di questa realtà documentabile, nella «Giornata della Memoria» si fanno celebrazioni spesso ritualistiche e di scarsa efficacia, visto che tutti gli indicatori attestano la crescita dell’antisemitismo. Spesso vengono proposte lezioni di storia scarsamente comprensibili per le scolaresche chiamate ad ascoltarle. Molti degli oratori non hanno alcuna idea di quale sia la consapevolezza storica degli studenti della disastrata scuola di oggi. Magari se ne escono dicendo «Dopo l’8 settembre...», senza rendersi conto che, se quella non è la data di compleanno di un amico o di un parente, per la maggior parte dei ragazzi non vuol dire nulla. Troppi non si rendono conto che termini come «Seconda Guerra mondiale» non dicono quasi niente ai più. In alcuni casi, le scolaresche vengono validamente preparate dai loro professori. Ma in alcuni casi la preparazione serve a inculcare la menzogna che gli ebrei stanno infliggendo ai palestinesi quel hanno sofferto loro nel passato. C’è chi coglie l’occasione per tenere comizi politici. L’anno scorso partecipai a una manifestazione in cui alcuni oratori colsero l’occasione per condannare con veemenza l’Italia come un Paese da sempre razzista, fascista, infame come nessun altro al mondo, il che serviva a «spiegare» perché oggi il Paese sia berlusconiano... Uscendo di là non solo mi ripromisi di non partecipare più a simili manifestazioni, ma mi chiesi quali conseguenze potevano avere quelle parole irresponsabili.

Cosa passerà per la mente di un quindicenne che si sente dire che il suo Paese è la sentina della terra, che i suoi genitori, nonni, parenti e amici sono stati i peggiori criminali razzisti della terra, tutti, senza esclusione alcuna? E quali conseguenze psicologiche può avere l’associazione mentale dello sterminio degli ebrei con una simile autocondanna senza appello?

Per questo, per i cattivi usi che se ne fa, per le ipocrisie sul presente e sulle reali minacce che sovrastano gli ebrei vivi, per la cattiva abitudine di fare della «Giornata della Memoria» una kermesse cui ogni istituzione vuol partecipare, magari con buone intenzioni, ma senza essere consapevole della dinamite che sta manipolando, sarebbe necessaria fare una grandissima attenzione al modo con cui si promuovono le iniziative e selezionarle con gran cura.
Un tema connesso e di cui si discute molto in questi giorni è la proposta di rendere la negazione della Shoah (ovvero dello sterminio nazista degli ebrei) un reato punibile per legge. A mio avviso, questa proposta è animata dalle migliori intenzioni ma è sbagliata. Essa rischia di aprire la strada a una coda di richieste analoghe e, in fin dei conti, non prive di fondamento. Perché non dovremmo considerare un reato la negazione dell’esistenza del Gulag? Eppure quante volte (anche in rispettabili convegni universitari) si sente profferire la tesi oscena che il Gulag era, alla fin fine, nient’altro che un’istituzione lavorativa? O persino cavillare sul numero di morti nel Gulag, proprio come fanno i negazionisti della Shoah? E perché non dovrebbe essere sanzionabile la negazione dello sterminio degli armeni, o la negazione del genocidio del Rwanda? Non è parimenti vergognoso negare l’esistenza di campi di lavoro forzato in Cina e gli stermini di tante minoranze (in particolare dei cristiani) in tante parti del mondo? È vergognoso, come girare la testa dall’altra parte di fronte alla minaccia genocida che pende su Israele. D’altronde l’immensa gravità della Shoah non costituisce una ragione per considerare la negazione di altri delitti come un fatto irrilevante.

È peraltro evidente il rischio di introdurre precedenti capaci di ledere la libertà di opinione. La storia non può diventare materia da dirimere nei tribunali, senza contare l’effetto controproducente che può avere il continuo dibattimento pubblico che si avrebbe delle tesi negazioniste, offrendo loro tribune insperate. Piuttosto, il soggetto che dovrebbe assumere un ruolo fondamentale in questo contesto è il mondo culturale, universitario e, più in generale, dell’istruzione.
Cosa si dovrebbe pensare di un docente che insegni che Napoleone non è mai esistito o che il teorema di Pitagora è falso? In questo periodo, in cui si fa un gran parlare di valutazione, un docente del genere dovrebbe essere sanzionato nella carriera. Qui, l’incompetenza si somma all’atto moralmente abietto di negare un crimine contro l’umanità.

Come può un’istituzione educativa abdicare al suo compito, e girare la testa dall’altra parte di fronte a una violazione di criteri minimi di serietà scientifica commessa con finalità indegne? Le istituzioni educative dovrebbero essere richiamate - eventualmente con la formulazione di codici deontologici - a comportamenti consoni alla loro funzione.

Il resto appartiene al dibattito pubblico, in cui la verità ha la forza di affermarsi da sola, a condizione che non ne venga intralciata la diffusione con comportamenti omissivi o addirittura complici della menzogna.

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