Cultura e Spettacoli

si mette in Mostra per cambiare le regole» I due registi fuori concorso a Venezia

Caro Marco Manetti, anche voi a Venezia. Quest’anno c'è già Greggio, non è un po’ troppo per la sacra Mostra?
«Ah, non sapevo che ci fosse Greggio, anche se ho sentito parlare molto del suo film».
Voi in che sezione sarete?
«Controcampo».
Non in concorso, per fortuna, se no rischiavate di battere qualche film cinese...
«Non ci hanno messo in concorso proprio per quello».
Una scelta inattesa per due registi fuori dal coro come voi, e se permette, non ancora popolarissimi, che si firmano Manetti Bros. A proposito, lei parla anche a nome di suo fratello Antonio?
«Certo. Io sono più estroverso, quindi mi spetta».
Chi è quel pazzo che vi ha invitato?
«Il direttore artistico della Mostra, Marco Müller. Ha visto il film e gli è piaciuto».
È l’ultimo sdoganamento della serie B, l’anno scorso era toccato alla Fenech e a Banfi. Che sia un nuovo corso del Festival?
«Forse sì, anche se quello era in realtà un cinema da salotto, un po’ snob. Col nostro film vogliamo andare in una direzione nuova. Per assurdo anche Habemus Papam è un cinema italiano che comincia a uscire dalla cucina».
Se vi sente Moretti, vi querela.
«Un po’ di paura di essere fraintesi c’è. Ma è una ruota che gira, un nuovo corso della storia dell’umanità».
Lei c’era mai stato prima a Venezia?
«Una volta, come inviato di “Stracult” per Raidue. Quando ero ragazzino, i miei amici ci andavano, io ho sempre fatto fatica a vedere più di un film al giorno».
E la seguiva comunque la Mostra?
«Non tanto, e spero che Muller non se la prenda. Il festival che ci appassiona di più e dove andiamo tutti gli anni è il Noir di Courmayeur».
Ci parli del vostro film veneziano. Il titolo, L’arrivo di Wang, non sembra fatto per calamitare le folle...
«Ci abbiamo pensato su, ma non abbiamo trovato di meglio».
A leggere la trama, sembra un incrocio tra giallo e fantascienza...
«Tra mistero e fantascienza, direi. Questo tale, Wang, è un alieno che viene interrogato dai servizi segreti. Sarà buono o cattivo? Non si sa, comunque prima di partire dal suo pianeta si è informato e ha imparato la lingua più parlata sulla Terra, il cinese. Ecco perciò che per tradurlo occorre un interprete. Nel nostro caso una interprete».
Tutto qui o tiene nascosto qualcosa?
«Ovvio, non possiamo rivelare tutto. Ma sarà un film più serio dei nostri soliti».
Che coincidenza: a Venezia ci sarà un altro film sugli alieni, L’ultimo terrestre del vignettista esordiente Gipi. E sarà una delle tre opere italiane in concorso. Non ne siete gelosi?
«No, anzi, ci fa piacere questa compagnia. Saranno due film diversissimi. Quello di Gipi è certamente una pellicola d’autore. Noi non abbiamo questa ambizione».
Non è per farvi le pulci, ma il vostro film cult Zora la vampira l’hanno visto in pochi. Come mai?
«Non so dare una spiegazione. Se lo sapessimo... Credo che dipenda dalla nostra distribuzione. Faccio un esempio che può far capire la differenza tra noi italiani e gli altri. Un grosso distributore inglese, anche di film d’autore, quando ha saputo che andavamo a Venezia, ci ha subito chiesto il film. Non era ancora pronto e allora gli abbiamo spedito il trailer. Lui l’ha visto e ci ha fatto sapere che lo distribuirà in Inghilterra. Un distributore italiano per prima cosa ci dice: un film sugli alieni? Non so se può piacere. E lo lancia nel modo sbagliato».
Poco coraggio, quindi?
«Sì, in Italia le novità non hanno spazio. Vedi il nostro Coliandro in televisione».
Quindi non lo vedremo più?
«Mah. Altre due puntate sono già scritte da Lucarelli, chissà se le manderanno mai in onda».
Videoclip, tv, cinema, ormai non vi fermate più. Prossimo appuntamento Cannes 2012?
«Troppa grazia.

Per ora siamo felici di essere a Venezia 2011».

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