Politica

Si riapre il caso Sme De Benedetti nel mirino dei pm

nostro inviato

a Nocera Inferiore (Sa)

Si riapre l’affaire Sme. Due Procure, Salerno e Nocera Inferiore, indagano in gran segreto laddove Milano e Perugia non vollero scavare in profondità. Ovvero sui misteri irrisolti dell’appalto Sme e della tentata svendita a Carlo De Benedetti da parte dell’amico Romano Prodi, all’epoca presidente dell’Iri. Più in particolare i pubblici ministeri Vincenzo Senatore ed Elena Guarino, supportati dalla Guardia di finanza, stanno ultimando gli accertamenti sul fallimento pilotato, da parte di un «potere economico-finanziario» in corso di definizione, della società Cofima risultata inizialmente vincitrice della gara per l’acquisizione del colosso alimentare, società che non doveva essere dichiarata insolvente poiché godeva di ottima salute tra patrimonio immobiliare e ingenti fidi. Sotto inchiesta sono dunque finiti i maggiori istituti di credito nazionali, noti banchieri e svariati funzionari. Lungo l’asse Salerno-Nocera al momento sarebbero decine gli indagati per reati che svariano dalla truffa all’estorsione fino all’usura. Una volta definito il capitolo bancario, fanno sapere fonti investigative, si passerà automaticamente a scandagliare tra i mandanti eccellenti che avrebbero ispirato l’azione concentrica dei colossi del credito finalizzata a colpire Giovanni Fimiani, patron della Cofima, l’imprenditore campano che con la sua maxi-offerta sbaragliò la concorrenza (in primis la Buitoni di De Benedetti, quindi la Iar del trio Berlusconi, Ferrero, Barilla, poi Conservitalia delle coop bianche e quindi la Lega delle Cooperative). De Benedetti, e dunque Prodi, sono destinati a tornare nel mirino. Anche perché il lavoro delle due Procure prende il la dalle conclusioni di una precedente perizia tecnica stilata nel 1998 dai consulenti dell’ex pm salernitano Raffaele Donnarumma (trasferito a Castellamare di Stabia quando si apprestava a chiedere il rinvio a giudizio anche per Prodi) che portavano il magistrato a concludere come «tutto induce a ritenere concreta l’ipotesi di un preciso disegno criminoso ordinato da ignoti e teso a eliminare Fimiani quale pericoloso concorrente in gara per l’aggiudicazione della Sme (...). Fimiani ha evidentemente rotto equilibri delicati e violato santuari finanziari tanto che non appare una fortuita coincidenza del concentrarsi, nello stesso periodo, di inique attività contro l’imprenditore».
Il 19 ottobre 1999 sempre il pm Donnarumma faceva presente, ai colleghi di Perugia presso i quali il procedimento veniva in quei giorni trasferito, che «dalle indagini e dalla consulenza svolta presso accessi e acquisizioni in numerosi istituti bancari, risultavano provate molte delle doglianze e delle circostanze denunciate dal Fimiani che avevano portato al fallimento delle sue aziende». A cominciare dalla capacità finanziaria di Fimiani, incredibilmente dichiarato fallito «attesa la dimostrata disponibilità dell’istituto di credito bancario tedesco che mise a disposizione la somma di un miliardo in marchi tedeschi», pari a 700 miliardi di lire.
Come se non bastasse il pm osservò che «da numerosi fatti accertati emergevano comunque elementi che portavano alla necessità di completare le indagini sulle complesse vicende per accertare chi avesse beneficiato delle attività illecite poste in essere contro Fimiani». Già, chi ne aveva beneficiato? Per scoprirlo il pm Donnarumma fece presente ai colleghi umbri di aver dato incarico al consulente tecnico, in data 26 novembre 1998, di svolgere ulteriori accertamenti per verificare «il danno reale arrecato alla Cofima» e per scoprire se fra le cause del dissesto vi potesse essere una responsabilità di vari soggetti interessati all’operazione, fossero politici o imprenditoriali: «Ho chiesto al consulente – scriveva l’allora pm di Salerno - di verificare se dette attività dell’Iri abbiano procurato vantaggi a terzi e/o soggetti fisici nazionali e o esteri», specificando che l’indagine «su una delle più complesse operazioni di privatizzazioni mai avvenute in Italia» si era svolta sullo sfondo di «fatti e avvenimenti, interessanti attività commerciali nonché personaggi finanziari e politici del massimo rilievo nazionale ed internazionale».
Per la cronaca, il suddetto consulente tecnico non è stato praticamente mai contattato dalla Procura di Perugia e mai sono stati utilizzati, integrati e sviluppati i suoi accertamenti. Undici anni dopo, altri magistrati di altri distretti giudiziari li hanno invece ritenuti meritevoli di approfondimento, con ciò sconfessando l’azione dell’allora titolare dell’inchiesta perugina su Prodi e la Sme, Silvia Della Monica, diventata recentemente senatore del Partito democratico.
Proprio a Perugia l’imprenditore Giovanni Fimiani nel 2002 depositò un esposto di fuoco nel quale snocciolava cifre, perizie e documenti per dimostrare come il fallimento «pilotato» in suo danno venne realizzato «con un’operazione speculativa realizzata con i metodi classici della criminalità organizzata» attraverso «uno stratagemma posto in essere in maniera del tutto ingiustificata da una banca dietro la quale operava uno sponsor di De Benedetti». Dichiarato fallito ingiustamente, e pure perseguitato mediaticamente. Lo aveva ripetuto a verbale lo stesso Fimiani: «Grazie a quanto da noi messo a nudo nelle sedi competenti sulle palesi irregolarità riscontrabili nel pre-contratto Prodi-De Benedetti che produceva danni immensi per lo Stato, improvvisamente è cominciata una campagna denigratoria, vendicativa, sapientemente orchestrata da chi aveva interesse a togliere di mezzo la società che aveva fatto l’offerta più alta, smascherando, carte alla mano, l’accordo al ribasso» vantaggioso solo per la Buitoni di Carlo De Benedetti. A fronte del vergognoso patto (privato) fra il Professore e l’Ingegnere per la svendita della Sme a soli 497 miliardi, fu provvidenziale l’azione di Fimiani che si aggiudicò la gara (stavolta pubblica) per 620 miliardi di lire.
Undici anni dopo la partita sulla Sme si riapre. Nel mirino le banche-strozzine e i mandanti occulti collegati. Contattato dal Giornale, Giovanni Fimiani risponde con un secco no-comment: «Quello che avevo da dire l’ho detto nelle sedi competenti. Addio».

Anzi, arrivederci.

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