Si svuota via Corelli: un clandestino su tre è libero

La Liberazione qui è arrivata con due giorni d’anticipo. In via Corelli, dentro le mura di cemento del Centro di prima accoglienza, il conto alla rovescia aveva una data d’approdo precisa: mezzanotte del 22 aprile. Il decreto legge che allungava da due a sei mesi la permanenza massima nei Cpt degli stranieri clandestini era stato firmato dal capo dello Stato il 23 febbraio. Entro 60 giorni doveva essere convertito in legge, altrimenti avrebbe fatto la fine della carrozza di Cenerentola. Man mano che la scadenza si avvicinava senza che le Camere votassero la ratifica, le speranze in via Corelli salivano. Perché decine e decine di immigrati irregolari si erano ritrovati bloccati nel grande campo proprio dall’entrata in vigore del decreto, che in febbraio aveva congelato all’improvviso la loro liberazione. Così il tam tam multietnico di via Corelli seguiva in diretta i lavori parlamentari, il pressing dell’opposizione, le divisioni nella maggioranza. Quando ha cominciato ad essere chiaro che il «sì» del Parlamento non ci sarebbe stato, molti ospiti di via Corelli hanno iniziato a fare le valigie. «Si esce».
E così è stato. Il centro, di solito affollato ai limiti della capienza, si è svuotato di colpo. Dentro, oltre i gabbiotti blindati, i giornalisti non possono entrare. Ma chi - come il personale della Croce Rossa - ha avuto in questi ultimi giorni la possibilità di girare per il Cpt racconta di un centro ben diverso dal solito. Dove non entrava uno spillo, adesso ci sono decine di brande senza inquilino. Via Corelli è vuoto almeno per un terzo. Non lo resterà a lungo, ovviamente: perché quando in Italia si ferma un clandestino, un cervellone elettronico segnala dove c’è posto per rinchiuderlo. E così quando a riempire via Corelli non bastano gli irregolari milanesi ne arrivano da tutto il Nord Italia e anche da sotto il Po.
Ma intanto una domanda sorge spontanea: i miracolati del 23 aprile, i clandestini usciti da via Corelli perché il Parlamento non ha votato il decreto sicurezza, che fine hanno fatto? Risposta: non si sa. O meglio, si sa che si sono dispersi nella corrente, sono svaniti nel grande mare dell’immigrazione parallela o sotterranea, da cui riemergeranno prima o poi, al prossimo controllo, al prossimo inciampo.
Formalmente sono stati tutti espulsi. Appena il decreto-sicurezza ha perso efficacia, i poliziotti di servizio in via Corelli hanno iniziato a convocarli a blocchi, nella succursale dell’Ufficio Immigrazione allestita all’interno del Cpt. Hanno comunicato loro che stavano per tornare liberi. E hanno messo in mano a ciascuno di loro un ordine di espulsione, spiegandogli che aveva cinque giorni di tempo per lasciare il Paese. Loro hanno sorriso, hanno ringraziato. E hanno varcato il portone blindato, via, nella nebbia della metropoli che tutto inghiotte.
Il teatrino delle espulsioni, d’altronde, in via Corelli si ripete da otto anni. Migliaia di fogli di via destinati a restare sulla carta, senza che né i poliziotti né gli stranieri facciano neanche finta di crederci. La Lega dice che due mesi di tempo massimo sono troppo pochi. Ma chi in questi anni ha lavorato in via Corelli racconta che anche se i tempi di permanenza si moltiplicassero per cinque volte non servirebbe a nulla: perché il problema è che ci sono intere nazioni che questi loro concittadini si rifiutano di riprenderseli. Sono soprattutto le nazioni del Maghreb - Algeria, Marocco, Tunisia - che hanno ideato un sistema molto semplice: non rispondono. Quando da via Corelli parte la segnalazione di un nuovo arrivo, con tanto di foto, impronte, passaporto, i consolati la infilano sotto un mucchio di carte e la lasciano lì. Per mesi.

Senza conferma dell’identità, il clandestino non può essere spedito da nessuna parte. Così alla fine del tempo massimo - due mesi o sei mesi, poco cambia - gli si mette in mano l’espulsione: «Hai cinque giorni per andartene». «Sì capo». E tutti giù a sorridere.

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