Si vergogni chi grida «10, 100, 1000 Nassirya»

Cari amici,
eccomi qui... non proprio lì vicino a voi, ma qui di fronte al notebook a scrivervi due righe tentando di farvi respirare una brezza di atmosfera afghana.., di giorno polverosa anche in assenza di tempeste di sabbia, di notte generosa di stelle che restituiscono (non sempre) un clima di apparente serenità, ahimé oggi turbata dal vile attentato perpetrato ai danni dei nostri soldati.
Già, vile e indigesto, l’Italia ha pagato un altro pesante tributo umano, piangerà ancora vittime, altri soldati caduti per restituire, semmai ce ne sia stata, pace e libertà a popoli come questo, valori mai appartenuti all’Afghanistan, Paese martoriato da guerre, invasioni e dittature. Ma noi siamo e restiamo qui, oggi stretti nel più profondo cordoglio e immenso dolore, domani a rendere omaggio ai colleghi che ci hanno lasciato, il giorno seguente animati da una determinazione se possibile ancora più intensa, a proseguire il nostro mandato.
Quelle che mi scorrono negli occhi sono immagini che purtroppo si aggiungono ad altrettante assai inquietanti e strazianti, di colleghi deceduti in analoghe circostanze, ricordi indelebilmente impressi nella memoria. Amici, con oggi, l’Italia registra il primo episodio di aggressione diretta e deliberata verso militari italiani in Afghanistan, fatto mai accaduto in precedenza, nonostante tante minacce e altri morti lasciati sul terreno in circostanze differenti. L’attentato è stato rivendicato da un portavoce talebano che ha annunciato, come all’inizio di ogni primavera, l’intensificarsi di atti ostili contro le forze militari occidentali presenti nella regione. Tra colleghi e collaboratori ci si augura che l’escalation annunciata sia solo un monito ma non possiamo certo escludere che il proclamato sia seguito da concreti atti di ostilità contro il nostro contingente.
In Italia, ad attendere i feretri dei caduti e partecipare alle esequie di Stato, saranno presenti, come in passato, le più alte cariche dello Stato e delle istituzioni, lacché e una pletora di politicanti pronti ad accaparrarsi un qualunque spazio di visibilità per fini per lo più ignobili e strumentalizzazioni che giungeranno senza ritardo. Probabilmente ci saranno anche quelli che sostengono che a noi lo Stato deve dare la sola benzina per rientrare in Italia e niente più, perché per loro all’Italia non serve un esercito. «La spartizione delle vesti» ci sarà, non certo nell’immediato, ma ci sarà, se non nelle tribune televisive, sarà in quelle parlamentari o, peggio ancora, in improbabili comizi...
Sì, proprio quei comizi dove chi sostiene la pace la sostiene come a Milano, scendendo in piazza senza vergogna di se stesso e del clan di appartenenza e gridando «10, 100, 1000 Nassirya». A fare da contraltare a quelle voci incoscienti abbiamo anche letto il monito di un presidente emerito della Repubblica che ha tristemente sottolineato: «Milano chiama, Nassirya risponde». Oggi forse ci si deve aspettare che qualcuno inneggi in favore dei talebani contro noi soldati quaggiù?
Non conosco tutti in modo così approfondito per esprimermi nel merito, non sono stato mai abituato a giudicare sputando sentenze o lapidando comportamenti, purtroppo nella vita ho deciso di fare una cosa semplice, nella quale magari c’è chi non crede più: «Servire la mia patria». Ma, se c’è qualcuno che non si sente di condividere del tutto la mia personale condanna nei confronti di coloro che se anche non urlano, comunque sostengono a bassa voce e nell’ombra, lo slogan «10, 100, 1000 Nassirya», ebbene, non rispondano a questa e-mail, anzi, cancellino il mio nome dalla propria rubrica. Qui sono le due e trenta del mattino, non so quanti soldati del contingente siano già riusciti a chiudere serenamente gli occhi quando gli occhi di due colleghi si sono definitivamente spenti nell’eternità, quando le famiglie di questi due connazionali non avranno che le spoglie dei loro cari, non lo so. Ma credo che chiunque con un briciolo di coscienza, sensibilità e amor patrio, anche senza divisa, non possa non stringersi intorno ai congiunti dei soldati caduti, di quei ragazzi che avevano scelto la mia stessa vita. Eroi? Non lo so...

a volte penso che a me non potrebbe mai succedere. Forse è proprio questo che mi spinge avanti, ma faccio le stesse cose che facevano loro... Non mi sento un eroe per questo, sono solamente un soldato.
Kabul, 5 maggio 2006

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