Siamo entrati nella biblioteca di Oriana Tra Risorgimento e avventura

Nel 2006, poco prima di morire, la scrittrice donò 627 volumi all'università Lateranense Sono la sua autobiografia intellettuale (e anche quella dell'Italia orgogliosa di sé)

Siamo entrati nella biblioteca di Oriana Tra Risorgimento e avventura

Firenze, anni Quaranta. In casa Fallaci, i libri erano l'unico lusso. Oriana imparò subito quale fosse il valore della parola scritta. Racconta ne La rabbia e l'orgoglio : «Quand'ero bambina dormivo nella Stanza dei libri. Nome che i miei amati e squattrinati genitori davano a un salottino stracolmo di libri comprati faticosamente a rate. Sopra lo scaffale del minuscolo divano da me chiamato il mio letto c'era un librone con una dama velata che mi guardava dalla copertina. Una sera lo ghermii e... La mamma non voleva. Appena se ne accorse, me lo tolse di mano. “Vergogna! Questa non è roba da bambini!” Ma poi me lo restituì. “Leggi, leggi. Va bene lo stesso.” Così Le mille e una notte divennero le fiabe della mia fanciullezza e da allora fanno parte del mio patrimonio libresco». Ogni bambino ansioso di conoscere la vita cerca l'avventura. Oriana la trovò nei romanzi di Jack London. Divorò Martin Eden e soprattutto Il richiamo della foresta . Per quest'ultimo, molti anni più tardi, scriverà un'introduzione. Il cane Buck le aveva insegnato qualcosa: «Buck fu per me una lezione di guerra, di guerriglia, di vita. E come tale guidò la mia adolescenza, la verde stagione che mi avrebbe portata ad essere ciò che spero o cerco d'essere: una donna disubbidiente, insofferente d'ogni imposizione. Altri ebbero eroi più importanti. Il mio eroe fu un cane». Nel frattempo, fuori dalla Stanza dei libri, infuriava la guerra civile, alla quale Oriana, sulle orme del padre Edoardo, prese parte come staffetta partigiana. Oriana ereditò il «vizio di leggere». Si buttò su Melville e Shakespeare, su greci e latini, poi venne Proust. La Fallaci avrebbe voluto fare la scrittrice, la madre la sconsigliava: «Eh! Scrittore, scrittore! Lo sai quanti libri deve vendere uno scrittore per guadagnarsi da vivere?».

Roma, estate 2006. A Oriana Fallaci, la scrittrice italiana più famosa al mondo, restano poche settimane di vita. Prima di morire, vuole mettere in salvo i libri della sua biblioteca newyorchese. Prende accordi con monsignor Rino Fisichella, caro amico e rettore della Pontificia università lateranense, per la creazione di un Fondo Fallaci. Lo studioso incaricato di archiviare il materiale è Paolo Scuderi, oggi Bibliotecario generale della Lateranense. È lui che ci mostra il Fondo: «La Fallaci mi consegnò 627 volumi corrispondenti a 425 titoli. Una parte li ricevetti dalle sue mani. Un'altra fu spedita e arrivò in grosse casse. Li volle firmare uno ad uno. Molti volumi erano pieni di post it sui quali la Fallaci prendeva appunti, segnava rimandi, sottolineava i passi interessanti». In una teca a fianco dell'ufficio di Scuderi ci sono anche altri oggetti tra cui lo zaino usato in Vietnam. Ricorda ancora Scuderi: «Non poteva tollerare che questo gruppo di libri andasse disperso, ai suoi occhi doveva rimanere intatto, si capiva che nutriva, in un certo senso, quasi un rapporto filiale con questi volumi». L'archivista ha seguito un criterio semplice: «Ho rispettato la partizione per aree suggerita dal materiale stesso. Ci sono tre filoni principali: libri antichi a carattere letterario o storico, quelli più amati dalla Fallaci; letteratura moderna, di autori comunque già considerati classici; le traduzioni dei suoi romanzi».

Basta un'occhiata per capire perché questi libri fossero così importanti. Sono una parte dell'autobiografia intellettuale della Fallaci. Le sue letture erano molto più ampie ma qui troviamo i libri del cuore e una piccola ma accurata «biblioteca italiana» alla base del suo romanzo familiare, uscito postumo: Un cappello pieno di ciliege . Ecco Le mille e una notte con prefazione di Giorgio Manganelli. Ecco Il richiamo della foresta con prefazione della Fallaci stessa. Ecco Melville, due copie di Moby Dick , una in lingua originale, l'altra nella traduzione di Cesare Pavese. Ecco diverse edizioni delle Opere complete di Shakespeare in inglese e francese (con introduzione di Alexandre Dumas). Ecco i classici, da Platone a Virgilio, da Omero a Lucrezio, dai tragici a Cicerone... Ma andiamo con ordine.

Partiamo dalla letteratura. Tra gli autori di lingua inglese, la Fallaci mostra un'evidente predilezione per Charles Dickens. Poi vengono William Thackeray, Robert ed Elizabeth Browning, Jonathan Swift, John Milton, lord Byron, Shelley, Alfred Tennyson, Robert Louis Stevenson, James Joyce, Edgar Allan Poe. Tra i francesi, spiccano Molière, Balzac, Victor Hugo. E poi Giulio Verne, Rabelais, George Sand, Alexandre Dumas, il Flaubert del Dizionario dei luoghi comuni e di Bo uvard e Pécuchet , Chateaubriand, Stendhal, Rimbaud. In spagnolo, non mancano Cervantes, García Lorca, qualcosa di Neruda, Miguel de Unamuno ( Commento alla vita di Don Chisciotte ). Tra i contemporanei, o quasi, della Fallaci c'è davvero poco: Jack Kerouac ( Refrain: da Mexico City Blues ), Steinbeck ( The Grapes of Wrath , The Moon is Down , Cannery Row , East of Eden ), Dos Passos ( 42° parallelo ), Sartre ( Les chemins de la liberté. Le sursis ) e Camus ( Le malentendu e Caligula ). Da segnalare Vi scrivo da un carcere in Grecia di Alekos Panagulis, con prefazione di Pier Paolo Pasolini.

Un gruppo di biografie di presidenti statunitensi, gli scritti di Ho Chi Minh, opere di e su Henry Kissinger rimandano all'epoca delle grandi interviste internazionali. Un solo titolo porta alla Trilogia anti-islamica, ed è Islam italiano di Stefano Allievi mentre la Storia delle Crociate (1884) di Joseph François Michaud conduce piuttosto a Un cappello pieno di ciliege . Karl Popper ( L'Io e il suo cervello ; Il futuro è aperto: il colloquio di Altenberg insieme con i testi del simposio viennese , con prefazione di Dario Antiseri) e Alexis de Tocqueville ( L'Ancien Régime et la Révolution ) costituiscono la piccola pattuglia liberale, Carlo Marx presentato da Leone Trotzki rappresenta il comunismo. Il Saggio sulle diseguaglianze delle razze umane di Arthur de Gobineau esaurisce il settore «libri maledetti».

Il cuore della biblioteca è patriottico e risorgimentale. Come si diceva, è da legare alla stesura di Un cappello pieno di ciliege . Ma anche alle pagine della Trilogia post 11 settembre in cui la Fallaci rimpiange l'unica classe politica seria che l'Italia abbia mai avuto: la Destra storica. «Quanto alla Destra storica - si legge nella Forza della ragione - è ormai un ricordo cancellato anche nella coscienza dei cittadini. Fu una Destra gloriosa. Secondo me, una Destra per modo di dire. Aristocratica, sì, ma rivoluzionaria». Sovrani, conti e marchesi guidarono le guerre d'indipendenza e ottennero il rispetto «perfino» di Garibaldi e Mazzini. Erano uomini «intelligenti, coraggiosi, e davvero progressisti. Nonché onesti. Uno si chiamava Cavour. Un altro, Massimo d'Azeglio. Un altro, Vincenzo Gioberti. Un altro, Carlo Cattaneo. Un altro ancora, che ti piaccia o no, Vittorio Emanuele II. Di mestiere, re». I loro meriti sono questi: «Ci dettero il liberalismo. Ci dettero le Costituzioni, i Parlamenti, la democrazia. Ci insegnarono a vivere con la libertà». Fecero entrare l'Italia nell'epoca del laicismo e della libera Chiesa in libero Stato. E poi «ci insegnarono anche altre cose da non buttar via. L'amor patrio, per incominciare. L'orgoglio per la propria identità nazionale. Il senso dell'onore, della disciplina, del decoro. Le buone maniere, il rispetto per i vecchi, il valore della qualità quindi del merito». Accanto ai classici della letteratura italiana, dove spiccano Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Ariosto, Tasso (varie edizioni della Gerusalemme liberata ), Alfieri, Foscolo, Manzoni, Leopardi, Beccaria (tutte le opere), Pellico, De Amicis, Carducci e D'Annunzio c'è una nutrita sezione di storia. La Storia d'Italia 1534-1789 di Carlo Botta, uscita nel 1824. La Storia degli avvenimenti d'Italia dopo l'esaltazione di Pio IX al pontificato di Ferdinando Ranalli (1848-1849). La Storia civile della Toscana di Antonio Zobi (1850-1852). Le Memorie economiche-politiche dei danni arrecati dall'Austria alla Toscana dal 1739 al 1859 di Antonio Zobi (1860). I mille di Marsala: scene rivoluzionarie di Giacomo Oddo (1863). Il brigantaggio o l'Italia dopo la dittatura di Garibaldi di Cesare Oddo (1865). Delle rivoluzioni d'Italia libri venticinque di Carlo Denina (1816). Ci sono diverse storie del Risorgimento e della Rivoluzione francese. Scritti ed epistolari di Giuseppe Mazzini, Massimo d'Azeglio, Cesare Balbo. Biografie di Garibaldi e di Napoleone. In questa biblioteca, il Novecento italiano, letteratura a parte, si esaurisce con Gli italiani di Luigi Barzini (1964), La rivolta ideale di Alfredo Oriani (1908) e I trapiantati di Giuseppe Prezzolini (1963). Il saggio di Barzini è il capostipite del filone «spieghiamo l'Italia agli stranieri», in questo caso i lettori statunitensi per il quale fu scritto. Alle banalità dei suoi epigoni, Barzini oppone un'analisi storica di vizi e virtù nazionali, facendoli risalire al secolare ritardo dell'unità. Nel nazionalista Oriani convivevano le idee della Sinistra risorgimentale e della Destra storica: l'unificazione era una rivoluzione tradita dalla politica. Oriani piaceva a molti: da Mussolini a Croce, da Gramsci a Gobetti. Fu proprio Prezzolini a rilanciare le sue idee, all'epoca della Voce . I trapiantati di Prezzolini è un libro sugli italo-americani che hanno raggiunto il successo economico negli Stati Uniti a prezzo della perdita della propria lingua e dunque di una parte del proprio spirito.

La Fallaci considerava Prezzolini un maestro, lui le rimproverava un certo anti-americanismo giovanile. La sorte, se non le idee, li ha accomunati: entrambi «trapiantati» all'estero, entrambi eretici, entrambi inascoltati profeti. A Prezzolini, scommettiamo, la biblioteca della Fallaci sarebbe piaciuta.

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