Stile «Le Iene», ma con domande istituzionali. Faccia a faccia, ma senza che i due si guardino mai negli occhi. Intervista doppia, non una «simulazione di dibattito». Insomma, lultimo duello tra Marta Vincenzi ed Enrico Musso, i candidati sindaci di centrosinistra e centodestra, è stato a distanza, anche se ieri sera, dagli schermi di Telenord, i due sono comparsi simultaneamente, per rispondere alle domande del direttore Paolo Lingua. Domande secche. Dodici. Due minuti ciascuno e guai a chi sfora.
Entrambi rigorosi, al limite troppo ingessati per lassenza del «rivale», hanno cercato di illustrare la Genova che vorrebbero. Con una buona dose di concretezza, ma anche con qualche discorso politico di troppo, specie da una professionista della parola come la Vincenzi. Meglio scompaginare lordine delle domande, per andare subito al sodo.
Ordine pubblico. Esiste o no lemergenza? «Certamente sì». «Noooooo». Chi ha risposto cosa? Enrico Musso lemergenza la vede, eccome. Soprattutto la vuole combattere. «Il problema è sentito in particolare dagli anziani, serve efficacia e concretezza - parte deciso -. Il mio progetto prevede il riutilizzo di agenti della polizia municipale per la sicurezza, lincremento della videosorveglianza, un assessorato alla sicurezza per il quale ho già individuato un mito come lex capo della squadra mobile e della squadra omicidi (Gaspare Paiella, ndr). Ma al di là del presidio del territorio, occorre combattere il degrado, la scarsa manutenzione, la pulizia, la poca illuminazione, che favoriscono il fenomeno della delinquenza». Lei, Marta Vincenzi è per il «Nooo, non cè unemergenza ordine pubblico, ma solo una preoccupazione per il tasso di crescita legato alla forte microcriminalità diffusa». Una situazione che deriva anche dallesistenza di «una popolazione molto anziana e di solitudine familiare». Problemi sorti però anche perché - se cè da scaricare un po di colpa su Pericu e vecchi compagni la Vincenzi non si tira certo indietro - ci sono collegamenti con il fenomeno dellimmigrazione «e questi fenomeni recenti hanno trovato unamministrazione non pronta ad affrontarli».
Già limmigrazione. Altro punto delicatissimo. Per la Vincenzi «la politica degli accessi è una questione nazionale e gli enti locali devono cercare di garantire lintegrazione tra comunità diverse». Per questo bisogna che le città sviluppino «i patti con i ministeri», al fine di «limitare lintolleranza, la criticità e la tensione». Enrico Musso considera limmigrazione «una possibile grande risorsa, un diritto di chi si muove da Paesi meno fortunati». Ma a patto che «si stia attenti a non illudere che da noi ci siano soluzioni e occasioni per tutti perché questo genererebbe flussi migratori eccessivi. E cè già una situazione di grave disagio». Questo rischia di «provocare fenomeni di rigetto che la società genovese non avrebbe per cultura e tradizione. Cè una oggettiva difficoltà a gestire i numeri eccessivi, soprattutto dove ci sono eccessive concentrazioni in territori molto piccoli».
Speculazioni e sviluppo. Cè ancora il rischio? Per la Vincenzi sì, il rischio cè e servono «regole da parte del Comune», vista «lincapacità di gestire il territorio». Per Musso no, non cè un rischio, «è un conto già pagato. Non si può continuare a sostituire la cultura del lavoro e del profitto con quella della rendita». Con tanto di citazioni esplicite per i casi della «grande distribuzione» e delle «speculazioni edilizie».
Cè spazio anche per risposte quasi comuni. Ad esempio sì, i due candidati sono concordi nellindicare la necessità di rivedere le grandi macchine delle aziende comunali, il trasporto pubblico, il traffico e il sistema dei parcheggi. Addirittura sullopportunità di «ridisegnare Genova» non si dividono. Certo, le soluzioni e le risposte concrete sono molto diverse. Con un unico comune denominatore: anche la Vincenzi, con toni più o meno soft, sottolinea gli errori della sinistra che ha amministrato Genova finora. Anche sulla cultura «non abbiamo tesaurizzato la grande occasione del 2004». Sullo stesso argomento Musso, invece, punta a un concetto più alto: «Serve una grande riforma: la politica non deve più arbitrare la cultura».
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