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«La sicurezza nella regione ci consente di ridurre i soldati»

Il generale Cabigiosu: «A Dhi Qar la situazione è tranquilla e il controllo della provincia è in mano alle forze irachene»

Fausto Biloslavo

Ci ritiriamo, forse, anzi no. Ieri mattina il portavoce del contingente italiano a Nassirya, il tenente colonnello Fabio Mattiassi, aveva dichiarato che 120-130 fucilieri del reggimento San Marco se ne sono tornati a casa e non saranno rimpiazzati. Poche ore dopo la marcia indietro per bocca dello stesso portavoce: «Al momento non è arrivato dall'Italia alcun rimpiazzo ma non è detto che presto non arrivino nuovi militari a sostituire i marò». Invece non sarà così, perché da settembre inizierà il vero ridimensionamento, come spiega in un'intervista a Il Giornale il generale Carlo Cabigiosu, veterano dei Balcani e dell'Irak, dove ha ricoperto il ruolo di consigliere militare a Bagdad dal giugno 2003 al marzo 2004 e nel gennaio di quest'anno.
Ieri è stato annunciato che 130 fucilieri del San Marco sono tornati in patria e non verranno rimpiazzati. È l'inizio del ritiro?
«È stato preannunciato un ridimensionamento del contingente a partire dal 20 settembre. Evidentemente questo reparto aveva concluso i quattro mesi di missione e doveva rientrare. Si è ritenuto opportuno non sostituirlo anche per motivi logistici e finanziari».
Si parla di 300 uomini su tremila da ritirare a settembre. È solo un ripiegamento formale o qualcosa di più sostanzioso?
«La ristrutturazione del contingente, in occasione del cambio fra la brigata Folgore e l'Ariete, interesserà qualche centinaio di militari. Ragionevolmente verrà snellita la struttura logistica e poi alcune di quelle componenti operative che in caso di necessità possono venire velocemente ridislocate in teatro con un ponte aereo. Parlo di fanteria generica, ovviamente è più difficoltoso portare via i mezzi pesanti. È presumibile che il ridimensionamento cominci con 3-400 uomini, ma poi si potrà anche aumentare il numero vedendo come evolve la situazione e valutando l'opinione del comandante della missione».
Non pensa che si tratti di una mossa politica per tenere buono il fronte pacifista?
«Ritengo che tutte le operazioni all'estero devono avere un inizio e una fine, ovvero prevedere una exit strategy. Ovviamente questa strategia può articolarsi anche in un certo numero di anni, come è accaduto per i Balcani. Inoltre la stabilizzazione dell'Irak va messa in relazione alla stabilizzazione progressiva dell'intera area, che riflette un impegno della comunità internazionale e della Nato in particolare. Non dimentichiamoci che stiamo già compiendo uno sforzo di particolare rilevanza in Afghanistan».
La situazione della sicurezza nella provincia di Dhi Qar, dove sono stati sempre impiegati gli italiani, ci permette un disimpegno?
«Da un anno non si segnalano grosse azioni della guerriglia e anche nelle zone circostanti la situazione è abbastanza tranquilla, a parte qualche episodio contro gli inglesi a Bassora. Reputo che la sicurezza sia tale da prevedere un ridimensionamento delle nostre truppe».
A Nassirya l'addestramento della polizia e della guardia nazionale sta dando i suoi frutti?
«Direi di sì, ormai il nostro contingente svolge più una funzione di riserva per situazioni di crisi, mentre il controllo della provincia è nelle mani delle forze irachene».
Il centrosinistra sembra puntare a un ritiro immediato in caso di vittoria elettorale alle politiche del prossimo anno. Potrebbe creare dei problemi per la stabilizzazione dell'Irak?
«Non credo che ce ne andremo da un giorno all'altro. Anche da parte dell'opposizione si è parlato di impegno nell'attività di ricostruzione del Paese. Penso che la ricostruzione dovrebbe includere anche le istituzioni come l'esercito e la polizia».
Qual è, secondo lei, il bilancio complessivo del nostro intervento in Irak?
«Può sembrare una frase abusata, ma ritengo che la democrazia aiuti a risolvere i problemi dell'Irak. Non ci si può accontentare di un dittatore.

Quindi penso che il contributo italiano sia stato positivo e spero che il risultato conclusivo sia la fondazione di un nuovo Irak, rispettabile membro della comunità internazionale».

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