Siena consacra il giovane artista di Nettuno

Sabrina Vedovotto

La vita non gli ha regalato niente. Nessun evento tragico certo, però una corsa sempre in salita. Corse che però lo hanno temprato e preparato ai momenti importanti della vita. L’ultima tappa è la vittoria del premio Celeste a Siena. Nonostante un sovraffollamento di partecipanti alla prima selezione, Angelo Bellobono ha vinto.
Bella soddisfazione questa vittoria?
«Il premio Celeste è nato lo scorso anno. Se l’edizione passata era presso la sede della galleria che lo organizzava, a San Gimignano, questa volta le cose sono state fatte in grande, spostando l'allestimento della mostra presso i Magazzini del sale a Siena. Sono stato molto felice di questa vittoria, anche se è solo una piccola cosa, soprattutto perché sono stato votato dagli artisti. Questa è la cosa più interessante del premio. Dopo una prima scrematura fatta dal gallerista e dal critico la scelta è stata operata da noi artisti. La bella soddisfazione è questa».
Come è iniziato il suo apprendistato artistico?
«Sono un autodidatta. Ho fatto l’agrario e poi l’Isef. Parallelamente a queste scuole, leggevo molto. E scrivevo. Cercavo di sapere, conoscere il più possibile. Volevo scappare da una realtà marginale come la provincia. Sono nato a Nettuno. Non c’era nulla lì. Forse è per questo che ho cominciato a sciare. Quale sport più lontano da una realtà di una città marina come Nettuno? Mentre cominciavo a gareggiare facevo graffiti, pittura. L’arte c’è stata da sempre. Non so dire quando è iniziata. Quando facevo il maestro di sci, trascorrevo le mie serate a casa a dipingere. Ma non mi sento un pittore tout court. Dipingo perché è la maniera, la modalità che gestisco meglio».
Cosa vuol dire?
«La pittura è per me più immediata delle altre cose, del video, della performance. Forse perché a casa ho già gli strumenti da usare. Mi lascio trasportare dalla pittura. Devi seguire il quadro, se lo lasci scappare sono dolori, non lo riprendi più. Mi affascina molto scoprire l’idea dell’idea. Quando fai pittura, anche se fai un ritratto o un paesaggio, non sarà mai identico come quando fai uno scatto con la macchina fotografica. È la mia idea che racconto sulla tela».
Si sente ancora all’interno di quella dimensione che fa dei pittori degli eterni romantici, o anche vicino a quelli che assumono un vero atteggiamento da artista? Trasandato, “maledetto”, sempre distante dalla realtà?
«Assolutamente. Sono vivo e assolutamente vicino alla realtà. Anzi, sono pure un po’ cinico nel mio lavoro. Racconto la chimica dei rapporti, e quindi è quella che si vede, spero, nei miei lavori. Anche le ultime scoperte stanno dimostrando che è la chimica che ci fa muovere, che ci fa pensare, ragionare. Io dico questo nei lavori che faccio. Ci provo».
Si vede che non le interessa solo fare un racconto di ciò che vede. Nel mondo dell’arte ci sono corsi e ricorsi, si passa dalla pittura al video, allo fotografia. Non mi pare che scenda a compromessi di questo tipo.
«No. Forse perché non mi sento solo un pittore.

Non esercito la bella pittura ma neanche il disprezzo della pittura. Faccio quello che reputo giusto e interessante».
Cos’ha in cantiere?
«Un videoclip dei miei lavori. Lo presento il 12 dicembre alla locanda Atlantide e il 15 al Rialto Sant’Ambrogio».

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