Portici (Napoli) - L’ingresso alla sede distaccata del comune di Portici è una scaletta sul fianco di un edificio rosso a tre piani che si affaccia sul centralissimo corso Garibaldi. Fuori i ragazzini giocano a pallone. Dietro le finestre, gli uffici dei servizi demografici, elettorali, di stato civile e tributi, l’Urp e gli sportelli del commercio e delle attività produttive. Produttive si fa per dire. Dei settanta impiegati comunali, qui dentro secondo la Procura di Napoli almeno 58 non erano mai, o quasi mai, al loro posto.
Dentro, un capannello di dipendenti parla animatamente. Si zittiscono appena intravedono un taccuino. «No per carità, non parliamo, quelli sono colleghi nostri», spiega una donna agitando le mani davanti al viso. Se non altro qui li conoscevano, quei 36 impiegati ora ai domiciliari perché «abitualmente assenteisti» (e gli altri 22 indagati pur se meno assidui nello sparire dal posto di lavoro). Ma, sarà per lo spirito di corpo, nessuno spara a zero sugli ex compagni di scrivania che per gli inquirenti erano decisamente poco zelanti. Niente accuse, dunque. Anzi, si scivola nell’improbabile.
La truffa ai danni del Comune e delle casse pubbliche? «Speriamo proprio sia un equivoco», sospira un tipo sollevando gli occhiali dal naso, mentre gli altri fanno a gara nell’invitare tutti a «non parlare». «Non è per cattiveria, poi le parole chissà sui giornali che cosa diventano», dice ancora sibillina la donna, che ci tiene a dirsi «addoloratissima» per il blitz mattutino che ha motivato, almeno per oggi, i vuoti negli uffici. Il tempo di un batter di ciglia e tutti spariscono dietro una porta. Nel corridoio rimane un usciere. Se ne sta accanto al lettore dei badge magnetici a braccia conserte, è cortese, ma naturalmente non sa nulla o quasi. «Eh, certo, bel pasticcio, ma che cosa le devo dire io?», taglia corto sorridendo. Proprio qui la telecamera nascosta della polizia ha «beccato» i tre custodi finiti agli arresti domiciliari in azione, mentre per un mese e più registravano per conto degli altri colleghi entrate e uscite fittizie. Mentre i fantasmi comunali andavano in giro in carne e ossa tra bar e supermercati, quando non erano addirittura impegnati in un «secondo lavoro». Se nella sede degli assenti i presenti minimizzano, appare meno conciliante Pasquale l’edicolante. «Meno male com’è andata», esordisce. «Lo sapevano tutti qui che in quel plesso c’era qualcosa che non funzionava. Andavi per un certificato e ci perdevi la mattina intera. Questa retata è partita proprio dalle denunce di cittadini esasperati per i disservizi». Anche nella sede principale del Comune confermano. Qualcuno già nel 2006 aveva presentato esposti anonimi, dichiarando che il signor X invece di starsene nel suo ufficio era dietro al suo bancone da ambulante a vender frutta al mercato. Possibile? «Abbiamo avuto segnalazioni, e le abbiamo girate immediatamente alla magistratura», spiega Vincenzo Cuomo, il sindaco, sorseggiando una tazza di te dopo la riunione di giunta. Il primo cittadino assicura di aver da subito collaborato con l’autorità giudiziaria. «I controlli non spettavano a noi. Questi non erano mica assenti ingiustificati, nel qual caso avremmo avviato noi un procedimento disciplinare. Come dice la Procura risultavano presenti truffando proprio l’amministrazione comunale, che è parte lesa, e commettendo dunque un reato penale». D’altra parte, prosegue, «abbiamo già firmato i provvedimenti di sospensione dal servizio e dagli emolumenti retributivi per i 36 dipendenti colpiti dall’ordinanza di custodia cautelare».
Qualche dubbio sull’efficacia dei badge, però, al Comune di Portici era già venuto. Lo stesso primo cittadino ricorda di aver tentato di sostituire i lettori magnetici con scanner per impronte digitali. In Parlamento, per zittire i pianisti, il sistema ha funzionato. A Portici non è mai partito. «Pare ci fossero problemi di privacy», sospira il sindaco. Che prima di congedarsi elogia «la stragrande maggioranza dei nostri 450 dipendenti, che hanno permesso a Portici di raggiungere risultati di eccellenza. Per dirne una: qui l’emergenza rifiuti non si è mai vista». Intanto scende il tramonto, e in piazza San Ciro, al centro di Portici, radio-paese ha già diffuso i nomi dei dipendenti furbetti. Segue, inevitabile, il dibattito. «Ah, questo lo conosco», dice un tassista scuotendo la testa. «Lavorava all’ufficio tributi, un bravo ragazzo, ma chissà cosa gli è venuto in mente». Sotto le scale della chiesa un anziano allarga le braccia. «C’è pure P.V. ai domiciliari, che tristezza, questa era pure sindacalista, bel modo di difendere gli interessi dei lavoratori, far finta di lavorare». Vincenzo, 68 anni, fa il relativista: «Non mi scandalizzo se uno si va a prendere un caffè o se fa un po’ di spesa nell’orario di ufficio. Ma a tutto c’è un limite. Se poi questi avevano proprio un altro lavoro, la faccenda è diversa». Gennaro ha 26 anni, ha tentato invano la carriera con le stellette e ora è «naturalmente disoccupato».
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