Signora satira

La satira, in Italia, coincide con le barzellette sui potenti o le imitazioni dei politici. Chi prova, almeno in letteratura, a fare un passo in avanti si arena di solito nella raccolta di articoli, ricuciti in qualche modo, nel non-sense magari divertente ma poco graffiante, nei racconti di costume da Bar Sport.
Lo scrittore belga Bernard Quiriny, nel romanzo Le assetate (Transeuropa, pagg. 312, euro 15), punta molto più in alto. La ferocia non è disgiunta dall’ambizione letteraria, e nel mirino finisce un’intera casta, quella degli intellettuali di tutta Europa, oggi schiavi del politicamente corretto, ieri del comunismo.
Le assetate è una distopia di tipo orwelliano. Quiriny immagina che, negli anni Settanta, il Belgio e i Paesi Bassi siano diventati un Impero nato da una spietata rivoluzione femminista. A capo della nazione, v’è una Pastora, una grande Timoniera mitizzata dalle leggende popolari. La società matriarcale, per ristabilire la parità dei sessi e riparare i torti subiti nel passato, ha emarginato gli uomini, prima sottomessi e poi arruolati come domestici, lavoratori e donatori di seme. Le leggi regolano ogni tipo di attività ma il vero problema è che sembrano cambiare in continuazione: in questo modo le cittadine vivono nella costante paura di aver commesso qualche involontaria violazione. I cittadini, invece, sono spinti all’evirazione per dimostrare la propria fedeltà alla Pastora. Su tutto e tutti dominano le occhiute Brigadiere, una sorta di polizia politica che vigila sull’ortodossia ideologica, applica una soffocante censura e incita alla delazione. La povertà affama Bruxelles e le campagne ma le élites dell’Impero godono di enormi privilegi. Lo spettro della controrivoluzione autorizza schiaccianti misure di repressione: proprio per questo, c’è da sospettare che la ribelle Beatrix, bombarola di prima classe, sia in realtà un’invenzione del regime.
Il nuovo Belgio è rimasto isolato per decenni. Nel resto del Continente, si hanno poche notizie di cosa sia realmente accaduto. In Paesi come la Francia, però, sono sorti partiti femministi che vorrebbero importare la rivoluzione. Per i militanti di questi movimenti, l’Impero è il paese dei balocchi, un regno ove dominano, finalmente, l’uguaglianza e la giustizia sociale. Dopo anni di inutili richieste, alcuni intellettuali francesi ottengono il permesso di entrare in Belgio: potranno visitare Bruxelles e, una volta tornati in patria, raccontare ciò che hanno visto.
Vi ricorda qualcosa? Ma certo: Quiriny sta facendo il verso alla nostra storia recente. Il Belgio è una versione aggiornata della vecchia Unione Sovietica. Gli intellettuali in partenza sono invece gli «eredi» di Sartre e degli altri scrittori europei che, giunti a Mosca, scambiarono l’Urss per un paradiso in terra e scrissero reportage passati alla storia come esempi di propaganda filocomunista.
Oggi il radioso avvenire promesso dal marxismo è tramontato ma gli intellettuali sono sempre pronti a inginocchiarsi di fronte all’ideologia, soprattutto se declinata in termini radicali. Il nuovo idolo è il politicamente corretto, a cui Quiriny ascrive anche un certo tipo di femminismo radicale.
E dunque il viaggio. I nostri intellettuali francesi (dietro la finzione qualcuno ha intravisto i profili di Bernard-Henri Lévy, Philippe Sollers e Julia Kristeva) sono beffati dalle loro ospiti. Vagano per le campagne abbandonate del Belgio scortati dalle Brigadiere che impediscono loro qualsiasi contatto con la popolazione; assistono a grottesche parate in onore della Pastora; partecipano a surreali convegni in cui ogni domanda vagamente scomoda viene dribblata con noncuranza. Insomma: sono in Belgio, ma il vero Belgio non lo possono toccare con mano. Eppure, la tragica realtà riesce a infiltrarsi fra le strettissime maglie della propaganda: le biblioteche senza libri scritti da maschi; i campi di lavoro molto simili ai Gulag; la povertà estrema di alcuni quartieri della capitale. Qualcosa non torna ma non importa.
Una volta rimesso piede in Francia, gli scrittori tesseranno le lodi dell’Impero, esaltando la libertà di cui hanno goduto, le risposte franche alle domande, perfino il sorprendente diritto di critica che anima la cultura belga. E pazienza se si tratta di un cumulo spaventoso di menzogne.
La satira di Quiriny contro gli intellettuali è feroce. Narcisisti da ricovero ospedaliero, sparandole grosse essi riescono a presentarsi come l’«avanguardia» intelligente e illuminata di una società borghese a loro avviso reazionaria. Un tocco di estremismo è chic, e aggiunge fascino: eccoli quindi sposare le peggiori infamie spacciandole per sacrifici necessari alla realizzazione di una utopia liberatrice. Ma non è solo questione di cinismo e di arrivismo.

Gli intellettuali sono pure ignoranti: non hanno sete di conoscenza, sono guidati dal desiderio di vedere confermati i loro pregiudizi, ovviamente positivi nel caso del glorioso impero belga. E quindi il loro sguardo è selettivo, molto selettivo.
Perché in Italia non esiste un romanzo del genere? Forse perché da noi la satira è appannaggio di quel tipo di intellettuale che Le assetate mette alla berlina.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica