Sigourney Weaver: registi italiani, vi aspetto

Pedro Armocida

da Napoli

«Sto pensando a come rilanciare la mia carriera e a cosa farò nei prossimi trent’anni». Si presenta così Sigourney Weaver, superata la boa dei cinquanta, al Napolifilmfestival che si chiude oggi e che le ha dedicato un’ampia retrospettiva con, tra gli altri, i suoi famosi quattro Alien, i due Ghostbusters e il recente The Village. E la notizia è che l’attrice newyorkese, dalla ragguardevole altezza del suo metro e ottantadue, sta pensando seriamente di tornare a indossare i panni del mitico tenente Ellen Ripley che a bordo dell’astronave Nostromo combatte contro il mostro informe creato da Carlo Rambaldi.
«Ho già tutto in testa - confida la Weaver - e ho proposto alla Fox di realizzare un film che ritorni al primo episodio: un thriller psicologico che potrebbe portare Ripley a uno stato ignoto. L’importante è che il budget sia basso, quasi da film indipendente».
E pensa che sia possibile?
«Certamente. Sono convinta che i sequel più siano “grassi” economicamente e meno originale sia il risultato. Ultimamente sono diventata una grande sostenitrice del cinema a basso costo e mi sto accorgendo che negli Stati Uniti si stanno girando molti film con piccole storie. E questo grazie alla lezione del cinema europeo che ha influenzato molti nostri cineasti».
Fuori i nomi.
«Wes Anderson, quello de I Tenenbaum e Le avventure acquatiche di Steve Zissou e Dan Harris con il quale ho ultimamente girato Imaginary Heroes. Oppure Tadpole-Un giovane seduttore a New York di Gary Winick, in cui interpretavo una matrigna, un meraviglioso esempio di film indipendente».
Mi pare di capire che Hollywood non sia la sua meta preferita...
«Non ci trascorro molto tempo. Mi piace di più fare esperienze in Europa, come in Francia, dove ho girato due film».
E in Italia?
«Se qualche vostro regista mi chiamasse sarei contenta di lavorarci. Certo il mio sogno era fare un film con Fellini».
Tornando al passato, qual è il segreto del successo della saga di Alien?
«Sicuramente il fatto che si tratta di film poco “fantasy” e molto realistici, in cui il pubblico viene trasportato in posti lontani. Il mio ruolo poi è quello di una persona normale con una grande personalità e che non si lascia intimidire».
Lei ha lavorato con tanti grandi registi, Scott, Cameron, Polansky, Nichols, Weir. Chi ricorda in particolare?
«Con Polansky, per La morte e la fanciulla, è stata un’esperienza meravigliosa e affascinante. Lui ama gli attori e aspetta di vedere come loro si muovono prima di decidere come girare».
E con M. Night Shyamalan com’è andata?
«È un grande cantore di storie. Ci si aspettava che rifacesse Il sesto senso e invece ha spiazzato tutti con The Village, che per me è una grande storia d’amore».


L’ultimo film che ha girato?
«S’intitola Snow Cake ed è una commedia romantica nonostante il mio personaggio sia una donna autistica. Un aspetto trattato più in profondità che in Rain Man ma che, proprio come accade nella vita, dà adito anche a situazioni gioiose e divertenti».

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