Silenzio su Medio Oriente e clima

Tante priorità nel discorso sullo stato dell’Unione tenuto l’altra notte dal presidente Obama. Ma anche tante omissioni, che non sembrano casuali. Nel senso che, ad esempio, “dimenticarsi” di fare un accenno alla questione mediorientale pare funzionale all’intenzione di sviare l’attenzione dal fallimento della Casa Bianca in quel cruciale settore del mondo. Un abile silenzio è stata la scelta del presidente anche su altri temi scomodi, peraltro.
Vediamo allora nel dettaglio che cosa Barack Obama ha preferito non dire nel suo applauditissimo e graditissimo (dall’84 per cento degli americani, secondo un rapido sondaggio) discorso.
Non una parola sulla sua - mai mantenuta - promessa, fatta nella campagna elettorale del 2008, di chiudere la prigione speciale per i terroristi fatta realizzare dal suo predecessore George W. Bush all’interno della base militare cubana di Guantanamo Bay: non è una novità, del resto, visto che anche nel discorso di un anno fa aveva preferito glissare sul fatto che il carcere detestato dai liberal d’America rimane in funzione.
Silenzio totale anche su un altro tema molto caro alla sinistra americana: la riforma, auspicata e mai attuata, della legislazione sulla libera vendita delle armi da fuoco. Argomento che sarebbe stato di grande e drammatica attualità dopo la tragedia di Tucson in cui sono morte sei persone ed è stata gravemente ferita la deputata democratica Gabrielle Giffords. Fonti della Casa Bianca avevano lasciato intendere che il presidente avrebbe toccato l’argomento, ma poi si è limitato a dire che la sparatoria dell’8 gennaio scorso «deve ricordare a tutti noi che ciascuno è parte di qualcosa di più grande, qualcosa di più importante dei partiti e delle preferenze politiche».
Curioso il tacere di Obama sulla questione del cambiamento climatico: il presidente non ha pronunciato una sola parola sul tema del global warming, scelta alla quale probabilmente non è estraneo il fatto che proprio martedì la sua consigliera sull’argomento Carol Browner aveva dato le dimissioni.
Ma il silenzio più fragoroso è stato certamente quello sul Medio Oriente.

Uno scacchiere dove la Casa Bianca sta raccogliendo insuccessi paragonabili solo a quelli della disastrosa presidenza Carter alla fine degli anni Settanta: basti pensare all’avanzata iraniana in Libano, dove l’amico premier Hariri è stato lasciato solo contro l’offensiva degli Hezbollah sostenuti da Teheran; o ai preoccupanti sommovimenti nello strategico Egitto, che vedono l’ottuagenario Mubarak in difficoltà davanti alla protesta popolare e un rischio altissimo di affermazione islamista in un’ipotetica guerra civile.

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