Silvio punta a spaccare il Fli I dilemmi di altri 10 finiani

RomaLinee roventi a Palazzo Grazioli e ore al telefono per Silvio Berlusconi che cerca di convincere i moderati del Fli che il voto di sfiducia sarebbe «una iattura per il Paese». Il ragionamento è pressoché lo stesso con tutti gli interlocutori: un appello alla responsabilità, al rispetto del mandato elettorale, a rientrare nel centrodestra perché sfiduciare l’esecutivo martedì equivarrebbe a passare a tutti gli effetti all’opposizione. «Era questo che volevi quando hai deciso di seguire un Fini che giurava che sarebbe restato sempre fedele all’esecutivo e agli elettori?», ripete il Cavaliere come un mantra in tutte le sue telefonate. Un pressing che inizia a far breccia, perché a contestare la linea del presidente della Camera nel Fli non c’è solo Moffa, ma anche altri sei o sette parlamentari che stanno pensando di presentare alla riunione del Fli di lunedì una loro road map alternativa per risolvere la crisi che non comporti le dimissioni di Berlusconi. Si vedrà. Anche perché in queste ore Moffa e il pdl Augello stanno ragionando su una lettera aperta a Berlusconi e Fini firmata da una ventina di parlamentari sia del Fli (di cui 2-3 senatori) che del Pdl per chiedere una soluzione della crisi senza le dimissioni del premier ma accogliendo alcuni punti sollevati in queste settimane dai finiani. Di certo c’è che al secondo piano di Montecitorio l’iniziativa non è stata affatto gradita e le riunioni di ieri sera sono state piuttosto concitate.
Il Cavaliere, dunque, punta con decisione a incrinare il fronte finiano ed aprire una prima breccia che poi potrebbe portare ad altri «ravvedimenti». Ed è questo il termine che usa durante i collegamenti telefonici con le manifestazioni del Pdl di Brescia e Bolzano. La «speranza», dice, è che il 14 dicembre ci possa essere «un ravvedimento» di chi ha preso parte alla «diaspora» dal Pdl e ora si «identifica» nel Fli. «Persone che si dicono onorevoli - aggiunge - non possono avere un comportamento che onorevole non è». Anche perché «questa crisi non ha nessuna ragione vera se non quella di una fedeltà a un leader che senza apparenti ragioni ha deciso di iniziare un percorso senza futuro». Un punto su cui Berlusconi insiste molto anche nelle sue conversazioni telefoniche con i diretti interessati: va bene la riconoscenza a Fini, ma non si può per questo arrivare a far cadere il governo e rinnegare i propri valori. Se i parlamentari del Fli dovessero «negare la fiducia» all’esecutivo «si consegneranno a un limbo politico».
Ed è qui che il Cavaliere alza l’asticella: non potrebbero «mai più rientrare nel centrodestra» e «nel loro futuro ci sarebbe solo la possibilità di allearsi a quella sinistra che hanno sempre combattuto». Un messaggio chiaro, insomma. Un modo per dire che il voto di martedì costituisce per Berlusconi una sorta di limite invalicabile oltre il quale non si torna più indietro. Un affondo che culminerà lunedì in un intervento alle Camere il più possibile inclusivo, con tanto di apertura alla riforma della legge elettorale.
La partita dei numeri e dell’allargamento della maggioranza post fiducia, dunque, vanno di pari passo. Al punto che il premier spera di allargare il più possibile la forbice per poi usare il risultato del voto di fiducia per fare pressione su Fini e soprattutto su Casini (il quale non sembra però interessato a un’ipotesi di rimpasto). Tanto da mandare un messaggio tra le righe agli indecisi del Fli: «Sono sicuro che si asterranno piuttosto che consegnarsi a un limbo politico». Parole che provocano la dura replica di Italo Bocchino: «Il marchio del centrodestra non è di Mediaset.

Eppoi l’ultima volta che Berlusconi si è mostrato così sicuro con i conti fu quando disse che non avevamo i numeri per fare il gruppo parlamentare...». Vero. Anche se al momento la sensazione che i numeri ci siano non ce l’hanno solo nel Pdl ma anche nel Fli.

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