Larma dei disperati: portare in piazza gli strumenti per coprire la debolezza del movimento sindacale. È una vecchia storia. Negli anni 50-60 quando il Pci aveva difficoltà di mobilitazione su parole dordine che non riuscivano a far presa sulla massa, cercava lincidente durante le manifestazioni, mettendo in prima linea gli studenti. I giovani, si sa, creano emozioni forti se vengono colpiti: un loro ferito significa la possibilità di rilanciare con successo una nuova manifestazione di protesta contro lo Stato di polizia, contro il fascismo, per la resistenza ecc. ecc.
La musica oggi non cambia. La sinistra politica e sindacale non è in grado di fare opposizione vera nel Paese, non ha idee, non ha programmi, usa lantiberlusconismo che ormai non funziona più neppure al cabaret. Così al massimo della disperazione, usa la solita e cinica arma dei disperati: lo sfruttamento dellesuberanza e dellintemperanza giovanile.
Ma è unarma che si rivela spuntata, meno offensiva di un fucile a turaccioli. Lasciamo pure in pace il Sessantotto: oggi non cè neppure quel clima degli anni Ottanta, quando le occasioni di protesta studentesca avevano spesso motivazioni autentiche ed era facile la mobilitazione nelle università parallelamente a iniziative politiche e sindacali che non riguardavano esplicitamente il mondo della scuola.
Chi frequenta le università avrà constatato che gli studenti che hanno abbandonato ieri le aule erano unesigua minoranza, e anche in ununiversità, sensibile al richiamo della manifestazione di piazza come la Statale di Milano, le lezioni si sono svolte con regolarità. Il volantino, distribuito davanti alle università, con cui venivano proclamato lo sciopero generale, firmato dalla Flc Cgil (Federazione lavoratori della conoscenza) rivendicava (testualmente): «cancellazione dei tagli previsti nella legge 133/208; risorse adeguate per i rinnovi contrattuali; piano pluriennale di reclutamento ordinario e straordinario...».
Uno studente conosce la gravità della crisi economica e della crisi dellistituzione universitaria. Sa perfettamente quanto carente sia la formazione scientifica che può ricevere nei nostri atenei, sa perfettamente quali siano le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro: vuole unaltra università basata sul merito e sulla selezione, in grado di prepararlo alle sfide future. Questa consapevolezza non lo porta in piazza a gridare sterili slogan, ad essere lutile idiota di una mobilitazione politica e sindacale senza idee: solo azioni senza pensiero. Una mobilitazione, quella di ieri, che rispecchia bene i suoi leader più rappresentativi, Epifani e Di Pietro. Se il grande Benedetto Croce avesse sentito parlare Epifani, gli avrebbe rimproverato che, prima ancora di essere privo di contenuti, non possiede neppure lombra della forma: una forma di organizzazione, una forma di visione della società, la forma di un progetto per il lavoro delle nuove generazioni.
Quanto a Di Pietro, non è necessario scomodare nessun nome grande o piccolo della nostra cultura per commentare lex magistrato. Lodio è la cifra costante delle sue arringhe: lodio non è mai in grado di mobilitare i giovani, se non quei quattro disperati che sfogano le proprie frustrazioni sfasciando, demolendo quello che altri hanno costruito con il proprio lavoro. E così non cè da meravigliarsi se in questo caos mentale, alcuni studenti milanesi hanno contestato con la riforma universitaria, già che cerano, anche la «strage di Stato» di piazza Fontana.
Questi giovani disgraziati diventano gli strumenti in mano a gente cinica che non sa come fare opposizione al governo, che non sa come mobilitare la piazza ma ha un disperato bisogno di dimostrare di esistere, magari creando lincidente per poter rilanciare la manifestazione e poi andare a sbraitare in una di quelle trasmissioni televisive in cui si celebrano sgarbatamente lodio e il cinismo.
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