nostro inviato a Siena
Da quando è in pensione, si fa per dire, perché non ha mai lavorato tanto come adesso, Giampaolo Pansa se nè andato a vivere in Toscana. Ha adibito un palazzotto a casa-ufficio, ha trasformato uno stanzone in archivio, fuma e scrive. Quando gli suona il telefono risponde con un ruggito: «Pansa» dice, oppure: «Chi sei?». È un omone di quasi un metro e novanta e anche se letà lha un po piegato è sul genere di quelle querce che non si riesce ad abbattere. «Da giovane ero un po arrogante. Mi piaceva il mestiere, non facevo gruppo, ero un bastian contrario. Invecchiando sono diventato più educato» mi dice, e si interrompe per vedere se ho capito. «Più educato, ma, giornalisticamente parlando, sempre un rompicoglioni» concludo. Lui si mette a ridere e mi versa da bere.
Fra i giornali in cui Pansa ha lavorato, cè un po il gotha della categoria: La Stampa, Il Giorno, Il Messaggero, Il Corriere della sera, la Repubblica, LEspresso... In molte di queste testate è entrato e uscito, rientrato e riuscito, il che vuol dire che lasciava dietro di sé un buon ricordo. «Giovane redattore, mi mandarono a intervistare Saragat, che allora era una specie di semidio della politica. Fece il suo monologo, presi appunti, poi mi intervistò lui: i miei genitori, la mia educazione... Alla fine mi disse: «Non sei di famiglia ricca, quindi cerca di non buttare via i soldi. Risparmiando, potrai andartene da qualsiasi giornale piantando baracca e burattini, senza ritrovarti come un gatto bagnato sul marciapiede. Non chiedere mai un piacere a nessuno, soprattutto a un politico. Così potrai scrivere cattiverie su chiunque». Due anni dopo salì al Quirinale, ma per me il suo discorso presidenziale resta questo».
Adesso Pansa scrive per Il Riformista, diretto da Antonio Polito, un giornale dopinione ben fatto, ma, gli dico, piccolo rispetto a quelli cui era abituato... Lui alza una manona e temo mi voglia indicare la porta o tirarmi un cartone, ma invece si limita a prendere la bottiglia per il collo e riempirmi ancora il bicchiere. «Io non sento il bisogno delle grandi tirature» mi dice poi tranquillo. «Chi mi vuole leggere mi legge. Polito è un gentiluomo napoletano totale ed è un grande direttore, perché sa indovinare i pezzi che vorresti fare, quelli che sono adatti alle tue corde. È una virtù che si va perdendo, ma che un tempo era prerogativa dei direttori migliori. Il giornale è unorchestra e se tu sei un bravo violinista è inutile farti suonare la tromba... Al Riformista ho ritrovato il piacere di fare battaglie personali... A Repubblica alla fine mi pagavano per non scrivere, oppure, come ho detto un giorno a Ezio Mauro, per fare i necrologi... Sì, lanniversario della Marcia dei Quarantamila a Torino, cose così. Capisco che di revisionismo a sinistra non ne vuoi fare, ma Cristo, faccio cronaca politica da una vita e tu ora mi chiedi le ricorrenze?. Nel giornale io e te siamo in minoranza mi rispose e in questa risposta cè Mauro e il quotidiano che fa».
Da alcuni anni Pansa si messo in testa di riscrivere la storia dItalia, quella più controversa e più nascosta della guerra civile, lItalia sconosciuta dei vinti, il dopoguerra infinito degli sconfitti. È scoppiato linferno, cè chi gli ha dato del traditore, chi del fascista, chi del venduto, chi dellinfame... Presentare i suoi libri è divenuto rischioso. Lui ne ha preso atto e, per tutta risposta, se ne esce con questo Il revisionista (Rizzoli) che è da un lato il ringraziamento a tutti quei lettori che non gli hanno fatto mancare il loro conforto e dallaltro la prova che «il maledetto Pansa» è vivo e, revisionista, lotta assieme a loro.
«Avevo un debito nei confronti delle migliaia di lettere ricevute, delle centinaia di persone che in qualunque parte dItalia mi trovi, mi fermano e mi dicono: Lei è Pansa? Posso ringraziarla per quello che ha scritto?... Ecco, questo libro è il mio modo per risarcirle. Vengo da una famiglia socialista, sono uscito dalla guerra che avevo dieci anni e lidea che i partigiani fossero tutti buoni e i fascisti tutti cattivi... Durò poco: nel luglio del 45, la prima estate di pace, due partigiani comunisti fecero fuori un ragioniere della mia città, Mario Acquaviva, antifascista, comunista dissidente. Un delitto in pieno giorno, pedagogico, una sorta di esecuzione pubblica... Se vuoi, il mio revisionismo inconsciamente è cominciato allora».
La tesi di laurea di Pansa aveva per titolo Guerra partigiana fra Genova e il Po, ebbe la lode e la dignità della pubblicazione, uscì qualche anno dopo per Laterza, vinse il Premio Luigi Einaudi (mezzo milione di lire di allora, 1959), gli valse lassunzione alla Stampa. Gli storici che accusano Pansa di non conoscere la storia dicono una fesseria. «Io sono stato allievo di Alessandro Galante Garrone e di Guido Quazza, a fare la carriera universitaria non credo avrei avuto problemi, ma il mio sogno era fare il giornalista... Con il senno di poi penso di aver fatto bene e poi, luniversità post-sessantotto te la raccomando, il complesso degli stronzi, la fiera della presunzione e dellarroganza». Dieci anni dopo fu la volta di Lesercito di Salò, il primo saggio organico in materia, uscito nella collana dei Quaderni dellIstituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia, e poi per Mondadori. Ancora: gli storici che accusano Pansa di non conoscere la storia, dicono una fesseria. In quel decennio, tuttavia, il clima cambia ed è con il 68 che lantifascismo si fa militante e diviene dogma. «Ti racconto un aneddoto che da solo spiega tutto. Allinizio degli anni 60 stavo al Giorno, diretto da Italo Pietra, che era stato il primo comandante partigiano a entrare in Milano nellaprile del 45. Ogni tanto alle riunioni del mattino chiedeva ironico ai capiredattori e ai capi servizio: Tolto Pansa, che è del 35, chi di voi ha bruciato la mia casa sul monte Penice nel rastrellamento dellagosto 1944?. E quelli, altrettanto ironici: Direttore, io no, ero a Milano a fare il giornale della X MAS; io neppure, perché ero nelle Brigate nere di Varese; io nemmeno perché stavo con la San Marco...Capisci, cera un ricordo e un rispetto, un rapporto civile fra vincitori e vinti. Si sapeva cosa era stata una guerra e cosa avesse voluto dire scegliere, a un certo punto, da che parte stare... Con la contestazione e la crescita di una sinistra extraparlamentare, il Pci si è incarognito: doveva difendersi dallaccusa di tradimento, tenere tutto a freno e rinsaldare la propria egemonia. Lantifascismo è divenuto allora lancora di salvezza della sinistra e, nel tempo, lunica sua ragion dessere, una sinistra ridotta sempre più alla canna del gas. Oggi cè un apparato culturale che continua a determinare e sostenere legemonia comunista sulla storiografia. Un egemonia proprietaria, che sta in piedi grazie a quello che possiede: cattedre, festival del libro, premi, una catena di case editrici. Tanti piccoli prelati dellInquisizione antifascista».
Curiosamente, mentre Pansa dava voce allItalia dei vinti, la parte politica che di quellItalia era stata in qualche modo depositaria, ha fatto una sorta di percorso inverso. «Cosa vuoi che ti dica... La destra post-fascista non ha mai saputo cosa volere dal punto di vista ideologico. Credo che Fini pensi a una sorta di revisionismo totale, nel senso di far finta che il passato non sia mai esistito... Può anche funzionare, politicamente per lui, intendo, però non sposta i termini della questione. Questo è un Paese diviso, dove non ci sono neppure delle memorie accettate... Un Paese fazioso e arretrato. Ci lamentiamo del fascismo, una dittatura, certo, ma nel sessantennio antifascista, repubblicano e democratico mafia, camorra, corruzione politica e civile non sono state altre forme di dittatura? Siamo tutti ingabbiati in cosche, clientele, ci siamo messi nel frullatore dellappartenenza per bande e ne siamo venuti fuori distrutti... Tutto questo nasce dallincapacità di rivedere veramente la nostra storia e sotto questo punto di vista la sinistra ha le colpe maggiori, perché è stata lei in questi decenni a detenere il bastone della cultura, toccava a lei innovare. E invece, soltanto revisionismi strumentali e grotteschi. Pensa ai giudizi su Tito: un eroe prima del 48, un lacchè della Cia dopo, di nuovo un eroe a Stalin caduto... Intellettuali che si rifiutavano di leggere Solgenitzin perché era oggettivamente un nemico... Capisci, dove vuoi che si andasse con gente così?».
Negli anni 90, condirettore dellEspresso, Pansa fece uno dei giornali più antiberlusconiani mai esistiti. «Oggi non lo rifarei. Perché il giornalismo iper-fazioso non porta da nessuna parte e in più ti fa perdere copie. Io capisco la polemica, ma non la Terza guerra mondiale sulla stampa. Quello che temo di Berlusconi è il suo non essere allaltezza, non che sia il nuovo Duce... Quello che non mi piace a sinistra è la mancanza di coraggio. Debbo dire che sono gli intellettuali a fare spesso la figura peggiore. Prendi questi che ora vanno con Di Pietro, una barzelletta. Sono dei pavoni, tutto qui».
Naturalmente, Pansa non è un santo, luomo che ha sempre avuto ragione. «Ma figurati, ne ho prese di cantonate...
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.