La sinistra radical chic dai salotti alla moschea I milanesi? Un dettaglio

Non è solo una questione di merito (e di metodo) a dividere la giunta e il gruppo del Pd. Non è solo la decisione di andare a spron battuto - e a braccetto coi centri islamici - verso le moschee di zona. C’è qualcosa di profondo dietro la contrapposizione fra la capogruppo dei Democratici, Carmela Rozza, e la compagine amministrativa del suo partito (che ora con la vicesindaco Maria Grazia Guida ha annunciato l’intenzione di recarsi a far visita a un centro islamico riunito in preghiera nell’ultimo giorno di Ramadan). Qualcosa che ha a che fare con le diverse matrici dell’impegno politico a sinistra, e che produce, nella maggioranza, una distanza che si può smussare, edulcorare, nascondere, ma non si può certo azzerare.
«Carmela conosce i quartieri di Milano meglio di tutti gli assessori messi insieme», sintetizza uno che di periferie - e di preferenze delle periferie - se intende, avendole battute in lungo e in largo per decenni, Riccardo De Corato. Se De Corato e Rozza, sul caso-musulmani, sembrano parlare una lingua che non è poi così diversa, non è solo per la tenace inflessione meridionale - pugliese nel primo caso, siciliana nel secondo. È una caratteristica che, non fosse - appunto - politicamente scorretto, si potrebbe definire come la capacità di capire e rappresentare le persone «normali». O, per usare una categoria tradizionale della politica, di essere «popolari». Alla capogruppo, che viene dal sindacato, sembra affidata la (residua) capacità del Pd di parlare alla Milano delle periferie, dei quartieri, alle «sciure». Accade perché chi governa Milano è oggi espressione di quella sinistra del politicamente e ideologicamente corretto, che (usiamo un cliché) dall’alto suo attico in centro si strugge per problemi, e proclama principi, e ingaggia battaglie, che non hanno niente a che vedere con gli interessi e i problemi dei cittadini. I milanesi dei quartieri sono animati da ostilità nei confronti dei musulmani? Improbabile. I milanesi che vivono nei quartieri «normali», i potenziali vicini di casa delle moschee di zona, sono preoccupati che l’insediamento dei centri islamici, e la loro abituale frequentazione da parte di centinaia o migliaia di persone, non produca degrado, confusione, problemi di vivibilità. Che non si abbassi la qualità della vita e - perché no - il valore immobiliare delle case. La gente normale è preoccupata che i leader dei nuovi centri che dovrebbero integrarsi nei quartieri non siano militanti del fondamentalismo impegnati nel reclutamento di combattenti della jihad. Che non facciano il lavaggio del cervello a qualche disperato in grado di uscire al mattino, da una casa popolare di San Siro, pieno di esplosivo per far saltare in aria una caserma.

Questo vuol dire partire dai problemi reali, per risolverli. L’altra possibilità è partire dalle idee, dai principi, per applicarli a una realtà che però - questo è il limite - qualche volta si ribella all’ideologia. E allora sono guai.

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