Giancristiano Desiderio
Un libro di J.L. Austin, un classico della filosofia del Novecento, s'intitola Fare cose con parole. La filosofia politica di Palazzo Chigi è esattamente opposta: fare parole con cose. In sequenza serrata: Prodi si è presentato agli italiani dicendo: «Votatemi e non vi tasso», «votatemi che c'è bisogno di serietà», «votatemi vi farò felici». Un mare di chiacchiere utilizzato per coprire la dura realtà: le tasse alle stelle, l'affaire Telecom e una commedia degli equivoci ambientata in Piazza Colonna, quanto alla felicità mi viene in mente un altro titolo: Storia prima felice, poi dolentissima e funesta, di Pietro Citati. L'articolo potrebbe anche finire qui perché, come diceva l'indimenticabile Peppino di Totò, Peppino e la malafemmina, «ho detto tutto». Senonché, bisogna pur ricordare per dovere di cronaca che questo governo finito ancor prima di iniziare avrebbe dovuto fare fuoco fiamme. Per dirla ancora una volta con un titolo si può citare il libro del dalemiano Claudio Velardi L'anno che doveva cambiare l'Italia, in uscita da Mondadori. Cambiamento? Il governo Prodi è il Governo dell'Immobilità.
La notizia, apparsa sul Giornale, che si voglia «internare» il ministro del Tesoro Padoa-Schioppa o che lo si voglia «ricoverare» dicendo che è malato dà il quadro perfetto della situazione. Perché la sinistra riformista e il Professore misero alla guida di via XX Settembre il Professor Tommaso? Perché si desse un'impronta riformista alla politica economica. Ora si dice che il ministro, chiuso nella sua stanza come in un fortino, sia malato, forse depresso. Si tiri su, non se la prenda, professore. Il vero malato è la cosiddetta «sinistra riformista» che avrebbe dovuto tenere saldamente tra le mani il «timone riformista» del governo per cambiare l'Italia. Invece, l'unica cosa che cambia, naturalmente in peggio, è il fisco che si abbatte sulla schiena dell'Italia che lavora e produce come una bastonata. Insopportabile e inammissibile perché viene a tagliare le gambe alla ripresa economica in atto. Ma questa è la forza della sinistra che si autodefinisce riformista: si parla addosso e a furia di spararle grosse finisce per credere di essere veramente una forza riformista. E allora che fare?
Scusate se rispondo parafrasando un altro titolo, questa volta di Stenio Solinas, il quale qualche anno fa scrisse Per farla finita con la destra, e bene si presta alla parafrasi: per farla finita con la sinistra riformista. Basta, facciamola finita, non è più possibile prenderli sul serio: la sinistra riformista si dice ma non si pensa, non esiste. È come la più celebre e simpatica araba fenice, «che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa». L'inesistente sinistra riformista somiglia molto alla nottola di Minerva del filosofo Hegel che svolazzava sul fare del crepuscolo, quando gli eventi erano ormai compiuti.
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