"Social e non solo: giornali nelle scuole contro le bufale"

Il presidente dei sociologi italiani Stefano Tomelleri: "È un'emergenza per il Paese"

"Social e non solo: giornali nelle scuole contro le bufale"
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«I creduloni sono sempre esistiti ma con i social network il fenomeno si è esasperato. Le fake news attraggono molto più della notizia che richiede approfondimento». Stefano Tomelleri, presidente dell'associazione italiana di sociologia e docente universitario non ha dubbi: i social sono il principale veicolo del complottismo anche se le ragioni di questo fenomeno vengono da lontano.

Come nascono i complottisti?

«Ci sono spiegazioni di tipo psicologico, su tutte la tendenza a cercare conferme di quello in cui già crediamo. Ma questo non spiega il fatto che un italiano su tre creda in teorie che non hanno validità scientifica».

Come si spiega allora?

«Ci sono tre elementi chiave. Il primo è il relativismo culturale e il decadimento della verità. Viviamo una sfiducia per le istituzioni e le fonti ufficiali e ne mettiamo in discussione la credibilità. Il secondo riguarda i modelli degli algoritmi alla base dei social, quindi il modo in cui le informazioni viaggiano in rete. Gli studi ci dicono che le fake news circolano molto più rapidamente delle notizie vere. E poi l'ultimo e più preoccupante: chi reperisce le informazioni attraverso l'uso di media tradizionali, in particolare dei quotidiani, è meno esposto alle teorie del complotto. Il modo in cui fruiamo delle informazioni oggi non aiuta la ricerca della verità».

Quindi i social hanno un ruolo decisivo nella disinformazione.

«Sì perché il problema dei social è proprio l'amplificazione di questo decadimento della verità. Non hanno nessuna finalità legata alla verifica della fonte dell'informazione, la notizia deve solo attirare l'attenzione».

Prima dei social, il complottista era lo scemo del villaggio. Ora ha una platea...

«Le informazioni false circolavano meno rapidamente, avevamo anche il tempo di poter dimostrare l'infondatezza di certi punti di vista. Oggi sembra che tutti i punti di vista possano essere messi sullo stesso piano. Ma non è così».

Preoccupa anche che il fenomeno dilaghi tra i più giovani.

«Secondo gli studi, le teorie del complotto attecchiscono maggiormente tra i giovani poco istruiti, quindi con poca capacità di elaborare un proprio pensiero critico. Il nostro Paese rispetto ad altri paesi europei non è messo bene».

E c'è chi se ne approfitta.

«Finché si parla di opinioni, liberi tutti. Anche se non tutte le opinioni pesano allo stesso modo. Ma quando si parla di elezioni o ancor più di salute, veda le bufale sui vaccini, c'è il rischio che le informazioni vengano manipolate per ottenere un vantaggio o peggio ancora per recare un danno».

Come se ne esce?

«Verificare le informazioni è una responsabilità democratica. Dobbiamo ricostruire la fiducia nelle istituzioni e il cittadino deve essere informato e responsabilizzato.

Bisogna partire dalle scuole, dalle università, tornando a quando si leggevano i quotidiani in classe per educare i giovani all'uso delle informazioni e alla verifica delle fonti. E serve fare in fretta, gli effetti di questo decadimento purtroppo li stiamo già vedendo».

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