
Per favore, basta. Basta scrivere sui giornali che il tal dei tali, finito ai dubbi onori delle cronache per le più varie ragioni (omicidio, ferimento, incidente stradale, arresto) è «un ragazzo di trent'anni». O perfino di 35, indifferenti al fatto che magari quel «ragazzo» è già spelacchiato o panciuto. Già è assurdo definire ragazzo o ragazza un giovane uomo o una giovane donna sopra i 25, come se fossero ancora degli adolescenti: non si è forse da lungo tempo stabilito di fissare a diciotto anni la maggiore età, quella in cui si diventa a tutti gli effetti responsabili delle proprie azioni? E non si è forse da tempo cambiata la legge che prevedeva l'età di 25 anni per poter essere elettori del Senato della Repubblica? Per lo Stato italiano, insomma, a diciott'anni siamo tutti adulti (il «vaccinati» lasciamolo perdere, non va più di moda). Ma per i media di questo beato Paese, restiamo ragazzi anche fino ai quaranta. Dipende dai casi, si capisce. Di solito la regola non scritta è la seguente: più un cittadino italiano è «vittima» delle forze dell'ordine mentre esercita le sue libertà di dissenso verso un governo non di sinistra e più è «un ragazzo», con il conseguente sottinteso di auspicata indulgenza verso le sue nobili azioni eventualmente violente. Il caso limite è stato rappresentato da Ilaria Salis, descritta a suo tempo da giornali e telegiornali come «una ragazza di 39 anni», dopo il suo arresto e detenzione in ceppi nell'Ungheria di Viktor Orbàn.
Ora, ciascuno è libero di farsi l'idea che preferisce della signora Salis, nel frattempo diventata europarlamentare: però chiamarla ragazza, con tutto il rispetto, è semplicemente ridicolo. Non lo è da un pezzo, come tutti noi a quell'età. Nessuno, però, fece notare questo aspetto grottesco né allora né prima del suo caso. A ben vedere, però, l'aspetto politico di derivazione sessantottesca non spiega tutto. In fondo, più banalmente, siamo di fronte all'eterna Italia facilona che conferma se stessa.
Tra amici, ci chiamiamo «ragazzi» anche a settant'anni. È un modo di essere, un inno elevato all'illusione della gioventù perpetua, ma soprattutto all'inconfessabile intimo desiderio dell'irresponsabilità del singolo, ben più nazionale di quello di Mameli.