Leggi il settimanale

La disuguaglianza sociale non è un'ingiustizia

Nel mercato libero si guadagna solo se qualcun altro ti sceglie. La ricchezza di un soggetto rappresenta la scelta di tanti altri

La disuguaglianza sociale non è un'ingiustizia

Il senso comune ha fatto diventare la ricchezza sinonimo di colpevolezza. Si incrociano quattro potenti pregiudizi che conviene svelare per smontare dalla base questa costruzione. Partiamo dall'eredità religiosa, mal tramandata. Un conto è contestare la ricchezza in sé, un altro l'attaccamento ad essa. Vi è poi un filone, per così dire, antropologico: l'invidia diventa rispettabile se trova una giustificazione morale. Ma il salto decisivo arriva con il marxismo: roba recente, dunque. La ricchezza non si crea, ma si sottrae. È un furto ai danni di alcune classe sociali, dunque il profitto è sfruttamento e il capitale appropriazione. Infine il quarto terribile pregiudizio: la ricchezza è potere. O meglio si confondono i due aspetti. Un liberale non ama la rendita, e cioè, semplificando molto, la ricchezza derivante da una posizione di potere e non da una conquista mercato.

I quattro pregiudizi sono necessari per comprendere la forza delle scuole di pensiero che contestano alla base il pauperismo moralista (che oggi ci circonda). Ai nostri fini è sufficiente mettere insieme l'approccio più epistemologico degli austriaci (Hayek, Von Mises) con quello più normativo della scuola di Chicago (Friedman).

La ricchezza per entrambi non è un peccato. Ma il risultato di un sistema libero che funziona. Non rende migliori, ma nemmeno peggiori. È uno strumento, non una virtù teologale. Friedman lo dice chiaro: nessuno si arricchisce costringendo qualcuno. Nel mercato libero si guadagna solo se qualcun altro ti sceglie. La ricchezza di un soggetto rappresenta la scelta di tanti altri. Hayek aggiunge la cosa più scomoda: nessuno sa abbastanza per decidere chi «merita» cosa. E quindi nessuno può distribuire meglio della realtà. Il mercato non è buono. Non è cattivo. È semplicemente cieco. E proprio per questo è più onesto dei moralisti. Il profitto non è avidità. È un segnale. Dice: qui le risorse servono, là no. Prezzi e profitti, per la scuola di Chicago, non sono altro che informazioni sintetiche di cui ognuno di noi può disporre. Chi guadagna di più, in questo quadro non è più virtuoso. Ma spesso è quello che ha capito prima o ha rischiato quando gli altri avevano paura. Ecco perché la disuguaglianza, corollario fondamentale di questo approccio liberale, non è un'ingiustizia. È il prezzo della scoperta. Senza differenze non c'è innovazione.

La «giustizia sociale» è un'espressione vuota. Hayek ne parlava come di un miraggio. Il mercato infatti non decide, non vota, non punisce. Giudicare i risultati come se fossero intenzionali è come accusare

il termometro quando si ha la febbre. Lo Stato non deve rendere giusti gli esiti. Deve rendere giuste le regole: uguali, astratte, prevedibili. Non sussidi agli amici. Non rendite protette. Non capitalismo di relazione. Per i liberali esiste dunque una «ricchezza immorale»: è quella che nasce dal potere, non dal consenso. Quando si pensa all'idea di redistribuire la ricchezza con la tassazione, non si fa altro che sanzionare il successo. E ciò non aiuta i poveri, aiuta solo l'illusione di sentirsi buoni. O permette a chi propone questa ricetta di redistribuire ai propri fini la ricchezza accumulata dal mercato: il decisore pubblico dispensa provviste al proprio cliente. Ronald Regan diceva: «Meglio una società diseguale, in cui i poveri vivono meglio, che una società uguale in cui vivono peggio». Ciò non vuol dire che la ricchezza crei libertà, ma è indubbio che la libertà crei ricchezza.

Anzi senza libertà la ricchezza non crescerà mai. Così come il mercato seleziona e non crea uguaglianza. Ma quando il mercato muore, c'è qualcuno che ne prende le veci. E non vorrete sperimentarlo. A meno che non sia amico vostro.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica