La stanza di Feltri

I fatti inspiegabili sono comunque fatti

Hai già la risposta dentro di te e l'hai sempre avuta, soltanto che hai scelto di impostare la tua vita in una certa maniera, basando tutto sulla razionalità

I fatti inspiegabili sono comunque fatti

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I fatti inspiegabili sono comunque fatti

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Gentile Dott. Vittorio Feltri,
tanti giorni sono passati da quando decisi di scriverLe avendomi impressionato il Suo racconto della grande amicizia con Oriana Fallaci, la voce della quale sentì dalla sua camera pur essendo lei defunta da tempo. Grande, pensai, ma se fosse un colpo di teatro? Lo esclusi data la stima che ho per chi scriveva, e mi venne in mente quella sera di marzo del 1963 all'Ospedale di Sacile lo zio Eugenio, fratello minore di mio nonno, il quale, cosciente del suo male, stringendomi forte la mano e indicandomi il libro che voleva darmi (Bruto di Giuseppe Delogu) disse che aveva sentito Ernest Hemingway che gli parlava dall'altra camera e lui gli gridò di tacere perché disturbava tutti. Sorrisi per compiacerlo ma anche per pietà e lo zio se ne accorse, disse che aveva solo il cervello che funzionava, lui per primo stentava a crederci a quella voce, ma così fu. Lo scrittore non c'era più dal '61, come sapeva benissimo, e mi ripeté di credergli, malgrado fosse anche lui come me agnostico e indifferente a tutto il trascendente, quella voce era vera, non sognata. Erano diventati amici per idee e cognizione del mondo e anche per filosofia della vita. Aveva di Ernest forse tutti i libri in lingua originale, tanti regalati dall'autore. Ci lasciò all'inizio dell'estate, era nato nel 1904. Ne parlai con il figlio Bepi. Sapeva e ne era impressionato, mi pregò comunque di non dirlo a nessuno. Così feci per tutti questi anni. Anche Bepi ora non c'è più. Le sarei riconoscente, gentile dott. Vittorio Feltri, data l'esperienza da Lei vissuta, per una risposta che mi aiuti nel disagio e nei dubbi che talvolta mi assalgono.
Giuseppe Giorgio Mariani

Caro Giuseppe,
ti dici «agnostico e indifferente a tutto il trascendente», come pure descrivi tuo zio, ci tieni addirittura a puntualizzarlo, eppure dalle tue parole trapelano un gran desiderio e un gran bisogno di credere e ti appelli a me, e di questa fiducia nonché di questa stima ti sono profondamente grato, quasi per avere una sorta di autorizzazione che ti consenta di lasciarti andare a questa brama di confidare in quel trascendente di cui parli. Hai già la risposta dentro di te e l'hai sempre avuta, soltanto che hai scelto di impostare la tua vita in una certa maniera, basando tutto sulla razionalità: esiste quello che può essere provato, quello che può essere spiegato, quello che io stesso vedo con i miei occhi e che io stesso tocco con le mie mani. È quello che ho fatto anche io, caro Giuseppe, per poi accorgermi che esiste pure altro, ossia quello che non vedo, quello che non sento, quello che non posso provare, quello che è inspiegabile. E se prima rigettavo questo pensiero, deridendo chi compiva discorsi di tale genere, adesso ascolto con curiosità e interesse quegli stessi discorsi e, come te, sento questo bisogno di credere che ci sia qualcosa che ci supera e che i nostri limiti umani e mortali non ci permettono di cogliere pienamente. Forse mi sta accadendo questo per via della mia veneranda età. Non lo so, so soltanto che non posso negare di essere rimasto colpito dal tuo racconto, che in effetti ricorda molto quello che è successo a me, quel mattino, all'alba, quando, destatomi da un sogno, ho udito tangibilmente la voce della mia amica Oriana, rauca a causa del fumo, inconfondibile, la quale pronunciava il mio nome, con insistenza, come se volesse la mia attenzione. E nel sogno che avevo appena fatto c'era lei, che desiderava comunicarmi qualcosa. Non ho voluto ascoltare. Lo ammetto: ho avuto paura. Non di Oriana, ma di quel trascendente, di quell'ignoto, che spaventa l'essere umano, quell'imponderabile davanti al quale proviamo tutti sgomento e vertigine. Non sono stato abbastanza ricettivo, non ero pronto. Ancora a volte mi domando cosa volesse dirmi Oriana. Non era la tipa che si disturba o ti disturba per un semplice saluto. Forse avrebbe voluto ringraziarmi, o raccontarmi cosa c'è al di là, forse invitarmi a non essere tanto scettico, quindi a credere.

Forse, sebbene mi sia rifiutato di ascoltare, ci è riuscita comunque.

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