Caro Direttore,
è notizia di questi giorni che l'Università di Bologna ha negato l'attivazione di un corso di laurea in filosofia ad una quindicina di ufficiali dell'Esercito italiano. Sono rimasto perplesso, sconcertato ed indignato sia dalla notizia, sia dal silenzio della Presidenza della Repubblica in quanto da italiano e da vecchio ufficiale di carriera ero ancora convinto che il Comandante Supremo delle Forze Armate fosse ancora il Presidente della Repubblica. Pazienza, dovrò rileggermi tutta la Costituzione che, da quel che si dice, è la più bella del mondo.
Cordialmente,
Leonardo Cecca
Rivalta (Pc)
Caro Leonardo,
la tua lettera conferma ciò che, purtroppo, denuncio da anni: in questo Paese non esiste più un dibattito serio, non esiste più la cultura, non esiste più l'università come luogo della conoscenza. Esiste soltanto un riflesso condizionato: tutto ciò che approva la sinistra deve essere applaudito; tutto ciò che non rientra nel perimetro dell'ideologia rossa deve essere respinto, sbeffeggiato, cancellato.
Il caso degli ufficiali dell'Esercito ai quali l'Università di Bologna ha negato l'accesso a un corso di filosofia è l'emblema di questa degenerazione culturale. E lo dico con chiarezza: non siamo più davanti a un malinteso, ma a una discriminazione bella e buona. Discriminazione in base a cosa? Alla divisa. Alla professione. Alla fedeltà alla Repubblica. Che un Ateneo dovrebbe tutelare, e invece ripudia.
Sia chiaro: trovo addirittura ammirevole che un gruppo di ufficiali, uomini e donne impegnati in una professione concreta, tecnica, spesso brutale, senta il bisogno di approfondire la filosofia, cioè la disciplina più distante dalla retorica di caserma che certi professoroni immaginano.
In un Paese normale, un'università sarebbe orgogliosa di ospitare militari che desiderano studiare Platone, Kant o Heidegger; qui, invece, li si allontana come appestati. Perché? Perché negli ambienti colti di Bologna, e lo sottolineo con rammarico, non con gusto, la divisa non è mai un simbolo della Repubblica, ma una minaccia. Certi pseudo-intellettuali non vedono un servitore dello Stato, semmai vedono in colui che porta la divisa il fascista, il repressore, il braccio armato del potere.
Una mentalità infantile, ossificata, ideologica, che non distingue tra un regime e uno Stato democratico, tra un militare e un manganellatore di loro fantasia. Questo è spirito antistato, altroché lezioni sulla Costituzione. La cosa ancor più incredibile è che questa discriminazione venga consumata nell'indifferenza quasi generale.
Il Quirinale non c'entra nulla. È il silenzio imbarazzante di certi ambienti accademici e politici che lascia intendere che, in fondo, questa esclusione fa comodo.
Tanto più che la presidente del Consiglio Meloni è stata costretta a intervenire per ricordare ciò che dovrebbe essere ovvio: che un'università non può scegliere gli studenti in base al colore della divisa.
Non scherziamo.
Un Ateneo che si vanta di inclusività, accoglienza e pluralismo si permette di escludere chi rappresenta le Forze Armate della Repubblica italiana. Che dovremmo dire allora dei diritti? Dei famosi valori democratici che sbandierano a ogni occasione?
La verità, caro Leonardo, è semplice: a Bologna, come in tante roccaforti ideologizzate, la libertà è valida solo se coincide con certe idee.
Il resto è un intralcio da censurare.
E consentimi una chiosa
finale: la filosofia non è appannaggio dei salotti progressisti. La filosofia appartiene a chi la cerca.E, se la cercano dei militari, significa che c'è più spirito critico nelle caserme che in certi consigli di facoltà.