Entrambi, sopravvissuti a se stessi, non hanno intenzione di mollare, di smetterla di ritenersi il sale della terra. E di fare, ciascuno a modo proprio, del moralismo canaglia. Il compagno Oreste arringava ieri lo sparuto drappello degli «antagonisti » spiegando loro che lo sciopero è «elemento di dinamismo e di umanità». Pertanto, lotta dura. L’abate Sofri, evidentemente a secco di idee, erudiva spiegando che fra i «pellegrini» - così egli chiama i clandestini, pellegrini - che sbarcano a Lampedusa ci potrebbe essere, ma guarda un po’ quandosi dice il caso, «il padre del presidente degli Stati Uniti» (se viene a saperlo il babbo di Obama, sbarcato negli Stati Uniti conregolare visto per seguire i corsi alla Columbia University, gli tira il collo, a Sofri).
«Contro le logiche securitarie», questa la ragione della mobilitazione milanese dei quattro gatti dei centri sociali. Scalzone, di logiche securitarie è maestro. Condannato a sedici anni, reso temporaneamente libero per motivi di salute, mostrò invece d’esser sano come un pesce tanto da squagliarsela a Parigi soggiornandovi da latitante fino alla prescrizione della pena. Ovvio che abbia condiviso gli slogan - e le scritte - «Abbasso gli sbirri» e «Nassirya festa nazionale». L’odio per la polizia - gli sbirri - è connaturato in chi abbia la naturale inclinazionea violare la legge. E poi fa tanto Sessantotto, che Scalzone cavalcò da leader e che i pischelli del «Conchetta» vagheggiano come a un amore mancato causa anagrafe. Ma che i diciannove soldati italiani morti per mano di un kamikaze islamico debbano rappresentare un’occasione per festeggiare, meglio se tutti insieme, è una rivendicazione torva, marcia come marcia è la testa dei piccoli teppisti «antagonisti» e del loro livoroso maestro Scalzone.
Anche in Sofri spumeggia il livore e il disprezzo, ma da smaliziato moralista dissimula la sua natura coi baffi ela barba finta del mite e saggio buonuomo: «Fui un bravo lettore del libro Cuore», confessava a Mirella Serri (zitta e, probabilmente, soggiogata). «Se i tempi si fossero prestati, sarei stato un buon tamburino sardo, o una piccola vedetta lombarda». Le solite smorfiose melensaggini di uno che vuol far dimenticare d’esser stato condannato a 22 anni di galera per concorso morale - mandante - nell’omicidio Calabresi. Altro che tamburino sardo.
Eppure l’uno el’altro dovrebbero essere grati a questo Stato e a questa società talmente tollerante e paziente da consentire loro di professare uno sgangherato reducismo (Scalzone) e di sermoneggiare alluvionandola con ipocriti perbenismi (Sofri).
Lasciando, nel contempo, che assumano sempre più i tratti di quel Shoichi Yokoi, l’ultimo dei giapponesi ad essersi «arreso» dopo aver trascorso trent’anni in armi nella giungla di Guam perché non sapeva che la guerra era finita. L’ultimo, e il più fesso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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