Sognando la Cina il tennis da tavolo cerca un palazzetto

Sognando la Cina il tennis da tavolo cerca un palazzetto

Il loro sogno è la Cina coi suoi 120 milioni di tesserati. Ma i vertici milanesi della Federazione Italiana Tennistavolo si accontenterebbero di molto, molto meno: per esempio di avere un posto, che oggi in città non hanno, per poter disputare tornei e campionati. Ma andiamo con ordine. A Milano i giocatori che si dedicano con una certa regolarità al gioco del ping pong non sono più di duemila; quelli iscritti alla federazione invece sono 487: 450 maschi e 37 femmine, tutti organizzati in sette società sportive dilettantistiche. Una crescita piuttosto lenta se si pensa che, nel lontano 1972, i tesserati Fitet in città erano già 228 e le società sportive sei. In tutte le altre capitali europee i «pongisti» tesserati sono almeno il triplo: perché Milano è il fanalino di coda del tennis da tavolo europeo?
«Una volta - spiegano i due tuttofare della segreteria Fitet di Milano, Franco Zanelotti e Donatella Semenza, entrambi ex giocatori di serie A - chi voleva avvicinarsi al ping pong poteva rivolgersi al Centro Addestramento del Vigorelli. Lì venivano organizzati i corsi-base, ci si poteva allenare e ogni domenica mattina gli appassionati potevano entrare gratis per veder giocare campioni come Alberto Pelizzola, Gigi Raineri (più volte maglia azzurra) Marco Sanvito e Luigi Mannoni». In quegli anni gli appassionati di Milano crebbero proprio grazie alla «contaminazione positiva» resa possibile dalla facilità di entrare in contatto coi campioni. Ma il sogno non dura: nel 1980 il Comune sfratta i giocatori dal Vigorelli trasferendoli in via Mecenate, 74 in un piccolo spazio nel Centro Sportivo Bonacossa. È l’inizio di una lenta agonia: «Quella soluzione - dice Nicola D’Ambrosio, vicepresidente regionale Fitet - si è dimostrata del tutto inadeguata: al Bonacossa non possiamo disputare né partite di una certa importanza né tornei regionali e neppure ospitare il pubblico per mancanza di spazio». Nella struttura (che tra l’altro ha un costo di 3 mila euro all’anno riscaldamento escluso) ci stanno a malapena cinque tavoli da ping pong; per disputare un torneo regionale ne servirebbero almeno 14. «Il risultato - prosegue D’Ambrosio - è che i milanesi non hanno più un luogo dove assistere a partite di una certa importanza e si sono dimenticati di questa disciplina».
Un vero peccato: il ping pong è uno sport e non un semplice svago. Un giocatore, durante un solo set, consuma quasi le stesse calorie di un centometrista e col tempo acquisisce buoni riflessi, una eccellente coordinazione motoria e un grande colpo d’occhio. Come nel calcio, anche nel tennis da tavolo esiste un campionato a squadre, con gironi di andata e ritorno. Le gare vengono disputate da team di tre giocatori ciascuna che affrontano a turno tutti gli avversari. Vince la squadra che per prima totalizza cinque vittorie. Gare del genere si possono ancora vedere? Sì, ma non in città: per i tornei più importanti, come la Champions League o il campionato di A1, la federazione ha trovato nell’amministrazione comunale di Pieve Emanuele una buona sponda che ha concesso uno spazio con 12 tavoli all’interno del Palazzetto dello Sport.

È qui che si allenano e giocano i numeri uno del ping pong italiano come Massimiliano Mondello, Valentino Piacentini e Mihail Bobocica.
«Resta il fatto - concludono in Federazione - che a Milano questo sport continua ad avere scarsa visibilità, soprattutto tra i più giovani».

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