Filippo Penati, in corsa in questi giorni per il Pirellone, ha smentito di volersi candidare (anche) a sindaco di Milano nel 2011. Lo ha fatto con una certa solennità, davanti al suo avversario, Roberto Formigoni, con parole che dovrebbero lasciare poco spazio ai dubbi: «Escludo di giocare una partita per farne unaltra», ha detto il candidato del Pd.
Eppure, fra gli osservatori e gli addetti ai lavori, pochi sembrano disposti a credergli. Giurano che lex presidente delle Provincia punti sulla scarsa memoria dei milanesi: 12 mesi in politica sono uneternità, e lanno prossimo chi si ricorderà di questo impegno solenne? O comunque Penati potrà sempre invocare «le condizioni politiche mutate», o ancor meglio lo «spirito di servizio verso la città», e infine obbedirà al partito e allelettorato che gli chiedono «questulteriore sacrificio».
Tutto si può dire tranne che Penati fosse entusiasta di imbarcarsi in questa nuova campagna elettorale a un anno da quella che lui stesso sorridendo ha definito «una trionfale sconfitta» con Guido Podestà. Anzi, lannunciato bis con Formigoni rischia di rovinargli il suo sogno: sindaco. Probabilmente però non poteva dire di no a Pier Luigi Bersani, che chiamandolo a coordinare la sua mozione alle primarie del Pd gli aveva conferito una dimensione politica più «nazionale». Indubbiamente Penati ha già percorso una bella carriera, tutta politica, lungo il binario che dal Pci-Pds-Ds lo ha condotto fino al Pd. Ma basta andarsi a riprendere i ritagli delle Regionali di 5 anni fa, quelle che si celebrarono un anno dopo la presa di Palazzo Isimbardi sulle note di «Bella Ciao», per verificare che il buon Filippo già allora era dato in corsa per le Comunali del 2006, bonariamente definito «il solito Penati».
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