Roma

La solitudine e la liturgia del flamenco

Joaquín Cortés approda questa sera nella capitale con il suo nuovo spettacolo «Mi Soledad» al Centrale del Tennis

Lidia Scognamiglio

Passi veloci, sinuosi movimenti di braccia, nervosi scatti di testa e quel inconfondibile suono dello «zapateado». È il flamenco. Il suo re Joaquín Cortés. Il più amato ballerino della passionale danza gitana si esibirà, questa sera, allo Stadio Centrale del Tennis del Foro Italico.
Dopo Padova e Torino anche Roma potrà conoscere il suo nuovo spettacolo «Mi Soledad», con il quale Cortés ha debuttato, lo scorso tre maggio, a Città del Messico con enorme successo. Uno show segnato da una forte svolta intimistica, come annuncia il titolo stesso «La solitudine». Il ballerino dalle origini gitane trascinerà il suo pubblico in un sognante viaggio interiore tra i sentieri della musica, alla scoperta delle sue emozioni più intime. Tra queste prevale la solitudine, colta in tutta la sua intensità, malinconica e solare al tempo stesso. Così la vena nostalgica che pervade lo spirito gitano si stempera con il fuoco e la sensualità dello zapateado (il colpo di tacco del flamenco).
Cortés non ha paura di osare. Si diverte a giocare con gli stili attingendo alle fonti più diverse: jazz, musica cubana, classica, afro, canto e naturalmente il flamenco, l’ingrediente principale che rende così unica la sua arte.
Nato a Cordoba nel 1969, Joaquín Cortés, si avvicina al mondo della danza a dodici anni. Grazie al suo talento diviene subito primo ballerino dello Spanish National Ballet di Madrid, con il quale gira in tour per il mondo, esibendosi, in ruoli classici, su grandi palcoscenici come il Metropolitan Opera House di New York e il Kremilin’s Congress Palace di Mosca. Ha poi danzato in una serie di Gala internazionali al fianco di etoile del balletto come Maya Plisetskaya, Silvie Guillem, Peter Schauffuss, Marie-Claude Pietragalla e Julio Bocca. A soli ventitré anni, nel 1992, crea la sua compagnia, la «Joaquín Cortés Ballet Flamemco», ormai nota in tutto il mondo, per spettacoli di successo come «Cibayì», «Pasìon gitana», «Soul» e «Live».
Quando poi alla danza ci aggiungi il cinema, i concerti e l’incredibile fascino del bello e tenebroso gitano il passo verso la popolarità è assicurato. I più grandi registi cinematografici spagnoli, come Pedro Almodóvar («Flor de mi secreto») e Carlos Saura («Flamenco»), lo hanno arruolato subito. Poi è stata la volta delle collaborazioni musicali con Jennifer Lopez, Alicia Keyes e Robbie Williams. E infine gli spot e gli interventi sul piccolo schermo.
Ad accompagnare i passi irruenti della sua danza una musica originale composta dallo stesso Cortés insieme con José e Antonio Carbonell (autori anche dei testi). Con la sua travolgente energia l’amato «bailaor» di flamenco fa da protagonista assoluto e monopolizzatore di una scena volutamente minimalista, ma curata in ogni minimo dettaglio, dalle luci ai costumi. Tutti gli occhi saranno, sicuramente, puntati sul suo corpo imponente ed elegante, con il quale incarna quell’insieme di sentimenti ed emozioni a tinte forti, come l’erotismo e la passione, la nostalgia e la solitudine.

Perché come scriveva Pier Paolo Pasolini «bisogna essere molto forti per amare la solitudine».

Commenti