Sollecito: «Senza la mia famiglia sarei già morto»

Perugia. Si è lasciato andare, ma non in aula, lontano dalle telecamere, senza farsi vedere: «Se non ci fosse stata la mia famiglia sarei finito sotto terra». Raffaele Sollecito aspetta in carcere di conoscere il proprio destino, ma si confida con un settimanale, Gente, in edicola da oggi. Una confessione in piena regola, ma di umori, pensieri, sentimenti: «Il senso di questa di storia - dice - sta nel fatto che gli inquirenti si sono fatti un’idea sbagliata fin dagli inizi. Se Rudy Guede fosse stato arrestato prima di me, di Amanda e di Patrick Lumumba, non avreste conosciuto né me, né Amanda, né Patrick Lumumba». I pm hanno chiesto per lui e per Amanda la condanna all’ergastolo con isolamento diurno perché responsabili dell’omicidio di Meredith Kercher. E hanno aumentato la vigilanza come previsto dalla normale prassi per tutti i detenuti in situazioni come la loro. Raffaele ha trascorso una notte tranquilla nel carcere di Perugia. Ma al settimanale racconta: «Sono psicologicamente distrutto, avvilito, stanco. Se io non avessi una famiglia alle spalle a quest’ora mi avreste trovato sotto terra». Dopo la richiesta di condanna dei pm, Amanda, apparsa provata in aula, aveva preso la parola con una breve dichiarazione spontanea per ribadire la sua innocenza con la voce incrinata dalla commozione. Uno stato d’animo che ha continuato ad avere anche in carcere: occupa una cella con altre detenute, si sarebbe lasciata andare a momenti di pianto. Di lei Sollecito racconta: «I media hanno descritto Amanda come una Venere, una donna capace di conquiste repentine perverse. Nulla di tutto questo. È una ragazza semplice, carina ma assolutamente normale. A volte invece pecca di ingenuità. Ma la cosa che mi ha dato più fastidio è quando hanno attaccato la mia famiglia. Non è giusto, non fanno niente di male o di sbagliato se mi difendono». Sollecito, che è rinchiuso in una sezione della struttura di Capanne riservata agli accusati di reati a sfondo sessuale, ieri ha passeggiato nel cortile esterno come al solito e poi è rientrato nella cella che divide con un altro detenuto. Con Gente entra anche nello specifico del processo. «Io Guede non l’ho mai conosciuto, l’ho visto una volta in tribunale.

E nessuna delle orme o impronte di piede rinvenute, impressa su presunta sostanza genetica, mi appartiene, semplicemente perché la mattina del 2 novembre 2007 avevo scarpe che non sono Nike e non sono andato in giro a piedi nudi per la casa».

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