da Londra
In tribunale, a lezione di poker. Non per vivere lebrezza del gioco dazzardo, ma per dirimere una causa destinata a stabilire - una volta per sempre - la natura del più popolare gioco di carte al mondo. È labilità, o la fortuna (o ancora, una magica combinazione dei due elementi), a governare sul tavolo verde? Sarà una corte britannica a stabilirlo, dopo opportune lezioni di approfondimento su bluff, scala reale e buio.
Un caso giudiziario che coincide con linarrestabile successo del poker attraverso i nuovi media: protagonista di fortunatissime dirette tv sui canali satellitari così come di interminabili sfide on-line. Giocatore involontario di questa scomoda partita è Derek Kelly, 46 anni, presidente del Gutshot Private Members' Club a Clerkenwell, Londra. A suo carico pende laccusa di aver infranto il 1968 Gaming Act (la legislazione che disciplina il gioco d'azzardo) organizzando nel suo club (sprovvisto di licenza) due partite di poker nella sua variante «Texas holdem». Nella prima (7 dicembre 2004) aveva trattenuto poco meno di 400 euro, come pagamento, sulle vincite complessive (circa 3mila euro); per la seconda (27 gennaio 2005) aveva preteso una quota di partecipazione (30 euro). Kelly respinge gli addebiti sostenendo di non aver bisogno di alcun permesso dal momento che il poker - al pari degli scacchi e dei video-quiz - ne è esentato. Secondo la legge britannica la licenza è necessaria solo per l'intrattenimento «di cieca-fortuna», come blackjack o roulette, ma non per i giochi di destrezza. Da qui la difesa di Kelly che riconosce sì il valore fondante dellazzardo nel poker, così come la componente aleatoria del caso, ma ritiene ancor più decisive labilità e lequilibrio psicologico. Il talento dei giocatori più che la dea bendata. «Lunica licenza che abbiamo richiesto allapertura (risalente al 2004, ndr) è una sola generica per il casinò - ricorda Kelly -. Ma è piuttosto limitante, e vale solo per il blackjack, la roulette e altri giochi simili. Ma il poker non ne ha bisogno». Di diverso parere il pubblico ministero Graham Trembath, che ha preteso per la giuria un corso accelerato per il ripasso delle regole fondamentali. «Se uso termini come parol, flop o river che cosa intendo? - chiede Trembath -. È un processo che riguarda il poker... alcuni dei giurati possono anche conoscere il gioco, ma altri sicuramente no. È quindi indispensabile sapere ciò che si va a giudicare». Trembath non nega l'importanza della destrezza dei giocatori, ma considera i risultati del poker come conseguenze della combinazione di fortuna e abilità individuale. Un mix che impone dunque una licenza. Agente discriminante - secondo il magistrato - il mescolamento delle carte prima di ogni mano. «È innegabile che la qualità dei singoli giocatori condizioni il corso delle partite - ammette Trembath -. Ma è altrettanto evidente che non appena le carte sono state mischiate viene introdotto un elemento, significativo, di incertezza». Sulla stessa lunghezza Henry Kirkup, ispettore della Gambling Commission: «Se siamo d'accordo sulla presenza anche solo di una piccola componente di casualità, allora si tratta di un gioco di fortuna». Finora la legge - sottolinea lavvocato di Kelly, Zeeshan Dhar - aveva trascurato il poker, non includendolo tra i giochi che necessitano di licenze. «Il problema è che lattuale Commissione per il gioco d'azzardo è entrata in azione nel 1968 - conferma Kelly -, quando cera un grandissimo numero di bische illegali e il poker non era così popolare. Negli ultimi anni il poker è diventato il più diffuso gioco di carte del pianeta, ma le leggi non si sono aggiornate per tempo». Lesito del processo, che si concluderà la prossima settimana, resta quanto mai incerto.
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