nostro inviato a Castelfidardo
Nessuno qui dimentica niente. Il francese Gadret scatta sull'ultima rampa di Castelfidardo e va a vincere la tappa indicando il cielo terso, verso le altitudini di Wouter Weylandt. È il giorno del funerale, per l'amico che s'è fermato a Rapallo. Mentre tutta Gand si riunisce per accompagnarlo nell'ultimo viaggio, il Giro innalza pensieri degni. Minuto di silenzio alla partenza. Scrive David Millar a nome del gruppo: «Wouter è diventato il corridore con più tifosi al Giro. Uno striscione sulla strada, una classe di bambini, un contadino solitario: tutti così diversi, tutti ricordano Wouter
». Sono parole sobrie e bellissime, che avrebbe potuto tranquillamente scrivere Dino Buzzati. Senza offesa. Mentre i tifosi innalzano il numero che non c'è più, "108 presente", viene davvero da pensare che l'atleta ciclista abbia comunque qualcosa di edificante in fondo al cuore, qualcosa al sapore di sentimento vero e di sensibilità sincera. Questa gente non esita a scannarsi per vincere una gara, perché il virus dell'agonismo è terribilmente aggressivo, ma davanti alla vastità del vuoto riesce a raccogliersi. «Siamo avversari - spiega il numero uno, Alberto Contador - ma restiamo soprattutto una grande famiglia».
La grande famiglia, come tutte le famiglie, dopo l'omaggio al caro che se n'è andato deve tornare alla normalità delle sue giornate. A Castelfidardo, in una tappa niente più che nervosa, si segnala un Contador tranquillissimo (e chi lo schioda, quello), un Nibali più che altro in lotta con un'allergia agli occhi, ma soprattutto uno Scarponi parecchio deludente. Sarebbe la corsa di casa sua, con un finale disegnato quasi ad personam, tant'è vero che mette a lavorare la squadra, Petacchi compreso. Al momento dell'acuto, però, la stecca. «È vero, mi sono mancate un po' le gambe. Mi spiace per i compagni che avevano preparato il terreno nel modo migliore
».
La sensazione è che al borsino dei grandi sia proprio il titolo di Scarponi a subire il calo più evidente. Dopo l'umiliazione subita da Contador sull'Etna, ancora non s'è ripreso. Tutti aspettano il rialzo a partire da domani, quando si aprirà con l'arrivo in Austria, sul Grossglockner, il Giro vero, il Giro terribile, il Giro disumano. All'avvicinarsi del sinistro appuntamento, una sequela di salite e discese da perderci il sonno (segnare quella del Crostis, sabato, prima dello Zoncolan: per capirci, una picchiata vietata alle ammiraglie), in prossimità cioè delle giornate cruciali, si registra un fenomeno paranormale: Contador vorrebbe perdere a tutti i costi la maglia rosa, così da rilassare la squadra per un paio di giorni, ma nessuno si fa avanti a prelevarla. Si gioca al ciapanò. Motivo di tanta atarassia? Beato chi lo capisce. Forse sono tutti convinti di portargliela via sullo Zoncolan, o magari a cronometro, cioè sui terreni che lo vedono indiscusso numero uno al mondo. Vai a sapere. Resta il fatto che Contador deve tenersi la maglia rosa controvoglia, con la fondata prospettiva di non spogliarsela più fino a Milano. Dicono qui, tanto per trovargli un lato debole, che non ha la squadra per difendersi così a lungo. Punto uno: sulle grandi salite può fare tranquillamente da solo, vedi Etna. Punto due, pure più importante: non è che le altre squadre appaiano molto meglio.
Non vorrei dire una cattiveria, però la dico: l'idea che qui corrano per il secondo posto, sognando poi una bella condanna del Tas a Contador nel mese di giugno (caso di doping all'ultimo Tour), sta diventando certezza.
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