"Solo mio figlio vale più di un gol al Milan"

Milito, l'ammazzaderby: "Eto’o non mi toglie spazio. Anzi, non vedo l’ora che ritorni. Loro non sono più quelli del 4-0. Hanno trovato entusiasmo"

"Solo mio figlio vale 
più di un gol al Milan"

Appiano Gentile - «Cosa c’è di più importante di un gol al Milan? Mio figlio Leandro. Non c’è neppure discussione».
Diego Alberto Milito da Bernal, doppia nazionalità, nonni di Terranova di Sibari, figlio di Salvator Milito e Caterina Borelli, arriva dopo Ronaldo, Vieri, Adriano e Ibra, stesso ruolo e miglior media gol. Due nel suo primo derby a Foxborough, Boston, Usa, 26 luglio 2009.
«Penso solo all’Inter e a fare una buona partita, quello che dicono gli altri non mi frega niente».
Riavvolgere il nastro. Non è Milito alla vigilia di questo derby, ma di quello americano, quello del gol dopo quattro minuti. Adesso dice che qualcosa è cambiato, anche da quello dell’andata, 4-0.
«Loro erano già una buona squadra, adesso hanno trovato l’entusiasmo. Qualcosa è cambiato».

Basta quaterne?
«Non voglio fare pronostici, ma non sarà una partita decisiva. Sarà una partita con grandi risvolti psicologici perché chi vince avrà una motivazione fortissima e nel calcio questo conta sempre molto. Si vola. Poi però c’è ancora un intero girone di ritorno».

Quanto le mancherà Eto’o?
«Io preferisco sempre giocare con grandi calciatori. Spero che Samuel torni dalla coppa d’Africa dopo averla vinta, ma soprattutto spero che torni presto. Per qualcuno lui mi toglie spazio, ma non sono d’accordo, quando hai al fianco Eto’o sei contento perché sei al fianco di un grande calciatore».

Ha voglia di dire qualcosa su Balotelli?
«Voi non sapete quante carezze riceve da tutta la squadra».

Bel gruppo...
«Sono stato accettato come se fossi uno che tornava a casa, invece ero nuovo, anche se molti compagni li conoscevo, qui ci sono tanti argentini. Ma non è stata un’accoglienza solo nei miei riguardi, qui sei subito uno della squadra, non puoi restare fuori, sei trascinato dentro».

Invece lei che tipo è?
«Prima che nascesse Leandro ero intrattabile, dopo una sconfitta arrivavo a casa e neanche mi andava di parlare con Sofia, mia moglie. Lei poverina subiva e si doveva rassegnare. Adesso sono l’uomo più felice del mondo quando abbraccio mio figlio, tornare a casa è una gioia, perdere mi fa sempre tanto male, ma ho scoperto che nella vita c’è dell’altro. E di figlio me ne sta arrivando un altro».

Quando le chiederanno se è stato un buon calciatore, cosa risponderà?
«Che ho sempre dato in campo tutto quello che avevo. Poi i giudizi li devono dare gli altri. E loro diranno se sono stato un buon padre».

C’è molta aria di famiglia nelle sue parole...
«Siamo in tanti, molto uniti, il calore dei miei mi fa sentire bene. Per la nascita del secondo figlio arriveranno tutti. Mio fratello Gabriel adesso si è ripreso dopo un infortunio lungo, più di un anno e mezzo. Se è forte? È fortissimo, è tornato in campo a novembre e magari un giorno giocheremo assieme... Nel Genoa? Mah, lo dicono... Sarebbe bello chiudere la mia carriera lì, assieme».

Magari dopo aver vinto uno scudetto...
«Già. Ho vinto solo un’apertura in Argentina con il Racing, quasi dieci anni fa, troppo poco, tanti gol, pochi trofei».

Magari è l’anno buono per mettere assieme le due cose...
«Non penso mai alla classifica dei cannonieri, è vero, non ci penso. Tu fai tante reti quando hai al fianco grandi calciatori, il gol lo assegnano a te ma il merito è di tutti. Questo è un concetto importante, quando lo capisci significa che sei dentro a una squadra».

Con un grande allenatore...
«Nessuno può credere quanto sia una persona tranquilla. All’esterno sembra il contrario, lo so. Mourinho ci tratta da professionisti, noi siamo con lui, con le sue decisioni».

Arrivate carichi?
«Questa settimana ci siamo allenati bene. Qualcuno ci vede imballati in queste ultime partite e dà la colpa alla preparazione invernale a Dubai. Ma siamo andati lì solo perché ci si poteva allenare al caldo. Non è una preparazione mirata a un certo periodo della stagione, non è in funzione Champions per intenderci. Siamo pronti, con la giusta tensione che deve esserci prima di un derby».

Che non è mai la stessa partita...
«Mai. Non c’è mai un derby uguale all’altro e non ha alcun significato quello che hai giocato l’ultima volta, quel risultato non conta, meglio dimenticarlo. Se poi penso che il nostro 4-0 è arrivato dopo un pari a San Siro col Bari mentre loro avevano vinto a Siena e potevano già andare a più cinque, allora si capisce cos’è il derby».

E poi c’è la maledizione della sconfitta...
«Aiuto... cos’è?».

Qual è stata quella digerita peggio nel girone d’andata?
«Quella di Torino».

E cosa è poi successo alla sera?
«Hanno rubato il portafogli a mia moglie».

E l’ha mai più ritrovato?
«Mai».

Quindi?
«Cercherò di evitare altri guai a mia moglie...».

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