Uno solo a Monza, 89 a Bari e 107 a Napoli Tutti al Sud gli accompagnatori dei ciechi

MilanoSono i custodi di chi non vede. Gli accompagnatori, come vengono chiamati in gergo, dei ciechi. Persone che dedicano il loro tempo e le loro energie a migliorare la vita di chi vive con l’handicap. Volontari che vengono pescati dal grande bacino del servizio civile. Sorpresa: i ciechi e i loro «steward» stanno quasi tutti al Sud. I numeri sono imbarazzanti. Ad Agrigento nel 2008 l’Unione italiana ciechi, che fa la parte del leone monopolizzando o quasi questo servizio, ha messo al lavoro 32 volontari. A Bergamo, invece, uno solo. Trentadue a uno da un’estremità all’altra del Paese. Un’eccezione?
No, perché i volontari in servizio a Bari sono ottantanove, quelli operativi a Milano undici. A Monza ce n’è uno solo, a Napoli centosette. È un’Italia a singhiozzo quella che emerge da questa singolarissima mappa che incrocia la malattia e l’assistenza su base volontaria. Una carta geografica ubriaca che sfugge ad ogni valutazione di razionalità. Attenzione: questo delicatissimo compito viene affidato ai giovani con un bando nazionale che seleziona il 2 per cento (ma il Governo Prodi poco prima delle elezioni l’ha alzato al 4 per cento) dei volontari. Questa quota è il serbatoio per gli enti accreditati che mettono in contatto i giovani con i non vedenti. E in questo universo svetta l’Unione italiana ciechi. Leader assoluto di questo comparto. L’accompagnamento può essere concesso per tre ragioni: sanitarie, di lavoro, sociali. La prima si riferisce alla sfortunata situazione di chi somma altri handicap alla cecità, l’ultima è stata pensata per il cieco impegnato nell’arena della politica. Tre parametri diversi per ottenere un servizio importantissimo: il volontario segue la persona assegnata per almeno trenta ore la settimana e il rapporto è personalizzato: quel giovane con quel non vedente.
Ma comunque la si guardi, questa storia non cambia. Prendiamo la Liguria e la Campania. A Genova nel 2008 sono stati concessi due accompagnamenti per motivi di lavoro; cinque per attività sociali; zero per ragioni sanitarie. Il totale è di sette. Scendiamo a Napoli. In Campania centotrentaquattro ciechi hanno avuto il «badante» per andare al lavoro; diciassette per ragioni sociali; trentasette per motivi sanitari. La somma fa centoottantotto. Centoottantotto a sette. Un risultato che non si vede nemmeno nel baseball.
La distanza è abissale per tutte e tre le voci: i ciechi del Sud soffrono per altre patologie, i ciechi del Sud lavorano di più e, giacché ci sono, fanno pure politica in massa e comunque si buttano con ardore nella mischia della società.
La Puglia, per fare un altro check up, dispone di centotrentacinque volontari sul campo, la Lombardia, assai più popolosa, si ferma a trenta. Sì, centotrentacinque versus trenta. Un punteggio senza storia. Ulteriormente scomponibile. A Bari hanno l’accompagnamento per motivi di lavoro settantuno persone, a Milano ventuno; sei contro cinque l’hanno ottenuto per svolgere attività sociali; addirittura cinquantotto contro quattro per motivi sanitari.
Impossibile non abbandonarsi ai più cupi sospetti e ai più foschi retropensieri. Possibile? Il Friuli Venezia Giulia e la Liguria non hanno un cieco che sia uno con annesso angelo custode per motivi sanitari. Il Trentino Alto Adige ne ha uno, quasi un testimonial della legge. La Campania, invece, arriva fino a trentasette; la Puglia lievita addirittura a cinquantotto e la Calabria quasi la raggiunge a quota quarantanove: il doppio di tutto il Nord Italia messo insieme. La Sicilia si contiene a venti. Pochi rispetto alla Puglia, ma pur sempre il quintuplo della Lombardia e del Piemonte, pure inchiodato a quattro.
Il federalismo sanitario non funziona. Nemmeno quando è applicato al servizio civile. E a riassumere questo fallimento è l’onorevole Carlo Rivolta. Il deputato rivolge un’interrogazione al sottosesegretario Carlo Giovanardi e gli consegna i numeri di questa Italia costruita a imitazione di Arlecchino: gli accompagnatori selezionati per i ciechi (e i grandi invalidi) sono stati nel 2008 1.422. Questo è il dato di partenza. Bene, dopo aver consultato il sito dell’Ufficio nazionale per il servizio civile, Rivolta specifica che «oltre il 68 per cento delle posizioni relative all’accompagnamento di ciechi e grandi invalidi è concentrato nel Sud e nelle isole. Segue il Centro con il 20,9 e ultimo il Nord con il 10,8 per cento».
A quanto pare i ciechi abbondano a Napoli. Scarseggiano, per fortuna a Milano e a Genova. A Napoli, a Bari e a Foggia sono anche laboriosi. Impegnati socialmente. Con altri acciacchi, speriamo non particolarmente pesanti. Rivolta snocciola i dati, poi si chiede «quali e quante attività abbia posto in essere l’Ufficio nazionale per il servizio civile, nella fase di valutazione dei progetti, al fine di verificare la sussistenza delle condizioni stabilite» dalla legge.
La risposta di Giovanardi è un elenco arido. E disarmante. Confezionato sulle dimensioni dell’Unione italiana ciechi.

L’ente impiega 1.104 volontari sul totale di 1.422. E i conti sono sempre strabici: settecentocinque volontari al Sud, duecentocinquantuno al Centro, centoquarantotto al Nord.
E il fossato fra le due Italie si allarga.

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