Solo oggi il legale di Basso vedrà le carte dell’accusa

Come Ullrich, anche il ciclista varesino è pronto ad affrontare l’esame del Dna

da Strasburgo

Basso come Amleto: essere o non essere responsabile di un illecito, di un inganno. Essere o non essere creduto: sta a lui e ai suoi avvocati, a questo punto, fare chiarezza. Anche se non sarà facile, perché finora il ciclista varesino non è entrato in possesso del famigerato dossier, che probabilmente l’Uci fornirà oggi all’avvocato Massimo Martelli, legale di Basso, il primo tassello per capire di che cosa è accusato il vincitore del Giro e da che cosa si deve difendere.
Jan Ullrich, il collega tedesco rispedito a casa perché sospettato e dunque non gradito, ieri ha ribadito a pieni polmoni la propria estraneità e ha detto anche di più: «Sono pronto a sottopormi anche all’esame del Dna». Anche Ivan, se è necessario, è pronto a farlo per fare chiarezza. Per il danese Bjarne Riis, team manager del varesino, evidentemente è già tutto chiaro. Anche se, pur pieno di dubbi, rivendica il diritto delle proprie scelte, ma dice: «Non ho scaricato nessuno».
Tragedia, disperazione, sentimenti nobili, amore e, qua e là, perfino qualche sagace punta di comicità si mescolano in un equilibrio delicato, ma che riesce, come nella tragedia di Amleto, a rendere l’idea di un meccanismo perfetto. Come in questa brutta storia che arriva da lontano, dalla Spagna, con le sue sospette sacche di sangue siglate da numeri e nomi in codice decrittati.
I danesi prendono d’assedio Bjarne Riis, che non hanno mai profondamente amato, forse perché ha scelto di vivere in Italia (a Lucca), che oggi considera la sua vera Patria. Invece adorano Ivan Basso, che seguono come se fosse uno di loro. L’altra sera, fuori dalla villetta di Basso, a Cassano Magnago, cinque troupe televisive lo pedinavano per avere da lui una battuta, e le domande erano tutte le stesse: «Ivan, perché Riis ti ha tradito?». Lui, Ivan, aveva sorrisi e risposte per tutti: «Non mi ha tradito, noi due sappiamo perfettamente come stanno le cose e adesso sta a me dimostrare al mondo che io con questa storia non c’entro assolutamente niente».
«Io non ho scaricato Ivan, questo lo dite voi – ribatte con forza Bjarne Riis -, la sua posizione è delicata, ma sono sicuro che ne usciremo. Adesso, però, io devo pensare al team, agli altri ragazzi che svolgono il suo stesso lavoro: c’è da correre un Tour, molto difficile, ancora più difficile».
Gli chiedono: però ha fatto uscire Ivan da una porta secondaria, come un ladro o come uno che abbia qualcosa da nascondere. Perché non l’ha fatto parlare: è sempre la cosa migliore?
«Tutto è successo così in fretta, tutto ci è caduto addosso, sia lui, sia io avevamo il morale a terra. In quel momento ho pensato di fare il suo e in nostro bene, e non sono poi così convinto di aver sbagliato».
Una cosa è certa: finita questa storia nulla potrà essere come prima. Non solo tra Basso e Riis, ma tra i personaggi coinvolti in questa storia e il ciclismo tutto. Se Ullrich, Basso e compagnia pedalante non avranno elementi per difendersi, per loro sarà finita.

Se invece avranno la forza e gli argomenti per rispedire le accuse e i sospetti al mittente, il Tour, l’Uci e le squadre Pro Tour che questi corridori hanno allontanato privandoli del sacrosanto diritto della presunzione d’innocenza, dovranno risponderne. Comunque la si giri, nulla sarà come prima.
Forse.

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