da Milano
Si alza dal tavolo di Valentino Fashion Group, e si siede a quello di Gabetti, esce dalla porta del Cda di Rdb ed entra in quella di Esprinet. Maurizio DallOcchio, direttore della più importante scuola di management dItalia, la Sda Bocconi, di posti nei consigli damministrazione ne ha una collezione intera. «Sono stato in tanti Cda, ma mi dimetto appena posso farlo senza creare problemi», giura.
Ma come, professore, vuole mettere il prestigio?
«Sì, ma anche la fatica».
Quindi lei non è un uomo per tutti i Cda?
«Direi proprio di no».
Fare il membro di Cda è una professione?
«Non deve assolutamente diventarlo. Il consiglio damministrazione di una società è invece il luogo dove si esercita la professionalità».
Che genere di professionalità? Va bene anche lattore? Bisogna aver recitato in un «legal thriller»?
«Beh, direi che conviene affidarsi a manager, avvocati, esperti di finanza veri, piuttosto che a chi ne interpreta la parte al cinema».
Eppure cè unintera casistica di star del cinema e dello sport cooptate nei Cda da società a volte nemmeno attinenti ai loro mondi di provenienza.
«Effettivamente sì, anche se non mi sono mai capitati consigli in cui cerano dei devianti».
Davvero li chiamate così i «non manager»?
«Ma no, solo per indicare che si discostano da chi è omogeneo agli altri».
Lei è bravo con le parole, ma insomma alla fine le star in consiglio servono o...
«Vuole la verità?».
I lettori la esigono.
«È tutto a scopo promozionale, salvo che per le non profit che puntano a certe competenze».
Ma la governance, la tutela degli azionisti...
«Per quello è meglio rivolgersi a consiglieri indipendenti ma anche competenti. Però mettiamola così: se le star poi fanno galoppare il fatturato, conviene anche agli azionisti».
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