Di determinazione e forza ne ha da vendere la donna che si cela (di certo non sul ring) dietro un paio di guantoni da pugile, Stefania Bianchini, campionessa mondiale di boxe e kick boxing. «È il sogno più grande che abbia realizzato finora, non capita a tutti di trovarsi sul ring nella Salle des Etoilles a Montecarlo» (dove la Bianchini, nel novembre dello scorso anno, ha difeso il titolo battendo la cinese Zhang Xi Yan, ndr).
Come nasce questa passione?
«Fin da piccola sognavo di diventare insegnante di educazione fisica. Ho sempre amato lo sport, ho fatto nuoto, ginnastica artistica. A 21 anni mi sono iscritta ad un corso di kick boxing, una disciplina allora poco conosciuta. Ho provato e ho scoperto di avere un vero talento e sono riuscita a guadagnare i miei spazi nonostante fossi arrivata tardi».
Come è stata la strada verso il titolo di campionessa mondiale?
«Tutta in salita perché in Italia non esisteva una legge per il pugilato femminile, sono stata costretta a prendere la licenza in Germania e ho vinto i primi titoli all'estero. Nel 2001 la legge finalmente è arrivata e ha posto fine ad un'evidente discriminazione».
Ha mai pensato di lasciar perdere?
«Ho dovuto superare momenti di frustrazione, ma non ho mai pensato di mollare. Anzi le difficoltà mi hanno spinto a combattere ogni volta come fosse l'ultima».
Mentre lei si allenava, le sue coetanee andavano a divertirsi. Rimpianti?
«Assolutamente no, non mi importa degli happy hour che mi sono persa! Sul ring mi sono divertita moltissimo. Il pugilato mi ha rafforzato, mi ha regalato autostima e senso dell'ironia e, soprattutto, mi ha fatto incontrare tanti amici e mio marito.
Sogni per il futuro?
«Spero di riuscire a lasciare un'impronta, vorrei che le ragazze che oggi hanno l'opportunità di combattere ricordassero che è anche grazie a quello che ho fatto».
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