«Sono il Marco Polo del buddismo e cerco un ponte con l’Occidente»

da Milano

Solare, sorridente come la sua gente. Instancabile operatore di pace, autore di diversi testi tra cui Medicina Spirituale, l’ultima «creatura» edita da Tecniche Nuove, nelle librerie in questi giorni. Un cofanetto che include, oltre al libro, un cd, un rosario tibetano, una «protezione» da mettere in macchina o in casa, un incenso e le «bandierine» colorate di preghiere, quelle che i Tibetani scrivono e appendono nei giardini in modo che il vento porti nel cielo quelle parole.
Lama Gangchen, lei è stato soprannominato «Marco Polo» per la volontà di unire Occidente e Oriente. È possibile una vera integrazione tra le due culture?
«Sì, l’integrazione è possibile. Siamo tutti sul pianeta terra, viviamo le stesse difficoltà, gli stessi dolori e gioie. Bisogna che ciascuna parte accetti l’altra, il meglio di quello che l’altra può offrire».
Come è nata l’iniziativa del libro Visioni di saggezza? È quasi un regalo di Natale...
«Ho degli amici che volevano aiutarmi a diffondere il messaggio di pace. Si tratta di frasi che non sono indirizzate ai buddisti, ma a chiunque, perché aiutano ad avere un approccio diverso verso la vita. Nei giorni d’oggi abbiamo bisogno di saggezza e la saggezza non è conoscenza. È sapersi relazionare con gli altri. Il libro è anche un aiuto economico che l’Occidente dà all’Oriente».
«Help in action», la sua fondazione, si occupa di adozioni a distanza. In questi tredici anni quante sono le adozioni e che rapporto c’è tra «figli» e «padri»?
«Sono circa duemilacinquecento le persone adottate a distanza, forse si avvicinano a tremila. Si tratta soprattutto di bambini, ma ci sono anche anziani e malati di cui occuparsi. Gli incontri avvengono se si vuole. C’è anche un fondo comune: se, per esempio, in un villaggio ci sono cinquanta bambini e solo venti sono stati adottati, si cerca di dividere anche con gli altri quello che viene offerto».
Lei è entrato in monastero all’età di cinque anni. Come si fa a confermare ogni giorno della propria vita quella scelta, mantenendo pura, incontaminata, la propria mente?
«Nella cultura tibetana è una cosa normale, semplice, entrare così presto in un monastero. In Tibet non c’erano tante scelte. Poi, a quell’età, riconobbero in me l’incarnazione di Kacen Sapenla, Lama guaritore. Per me, comunque, è stato sempre un piacere, una gioia, stare in monastero. Due o tre volte l’anno ritornavo dalla mia famiglia, ma dopo un po’ sentivo la necessità di tornare».


Cosa ama dell’Occidente?
«L’Occidente appare materialista, ma c’è spiritualità. Amo la voglia che hanno le persone di imparare, il desiderio di conoscere di più, lo sforzo della conoscenza. E questa è la speranza».

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