Politica

Sono oltre 500 i bambini dispersi a New Orleans

Alcuni sono talmente piccoli che non sanno dire il loro nome. I centri di accoglienza li fotografano e mettono le loro immagini su internet

Mariuccia Chiantaretto

da Washington

L’incubo di oltre 500 bambini «missing», annegati o dispersi nel marasma dell’evacuazione, turba i sonni dell’America in quello che avrebbe dovuto essere il festoso weekend del Labor Day. Mentre lontano dalla Louisiana le famiglie americane organizzano l’ultimo barbecue della bella stagione in spiaggia o nei parchi, altre famiglie divise dalla furia di Katrina cercano disperatamente i figli.
Nell’Astrodome di Houston, dove migliaia di volontari cercano di dare un aspetto umano alla distesa di brandine e di procurare pasti accettabili agli sfollati di New Orleans, è stato aperto un ufficio «bambini smarriti». Lisa Stewart, che aveva perso le tracce di tre dei suoi sei figli, due maschietti di sei e sette anni e una femmina di 12, è stata tra le prime a beneficiare del servizio.
«Quando arrivano da noi - spiega la volontaria Jo Anna Clark - li prendo in braccio, me li stringo al petto e chiedo loro se hanno fame o sete. Le storie che ci raccontano sono incredibili. Tutti i bambini vengono poi visitati da un pediatra e messi a giocare in una sala».
Lisa Stewart si era separata dai tre figli pochi minuti dopo aver ricevuto l’assegnazione di brandine, coperte e acqua. «Volevo cercare mio marito, che avevo perso di vista davanti al Superdome di New Orleans. Non era salito sull’autobus con noi perché il convoglio era riservato a donne e bambini. Poiché non me la sentivo di badare da sola ai miei sei figli, ho lasciato a mio marito i tre più piccoli, di quattro, tre anni e sette mesi. Gli organizzatori ci avevano assicurato che l’avrebbero fatto salire sul convoglio successivo. Non ho trovato mio marito e neppure i bambini che avevo con me. Per fortuna sono stata indirizzata all’ufficio bambini smarriti, dove giocavano tranquillamente».
Nel centro di accoglienza per i Pollicini i volontari seguono una routine precisa. Dopo aver dato loro da bere, si fanno dire il nome e l’indirizzo di casa, poi li fotografano.
«Non tutti sono in grado di dire il loro nome - spiega la signora Clark -. Stamane, uno di questi bambini senza nome ha riconosciuto la mamma. Senza parlare si è avvicinato alla donna, le ha sollevato la manica per farci vedere sul suo braccio il tatuaggio del proprio nome, che in apparenza non ricordava».
Per mancanza di spazio l’ufficio «bambini smarriti» non trattiene a lungo nell’Astrodome i piccoli ospiti. Se nel giro di due giorni non si trovano i genitori, li consegna al Servizio protezione per l’infanzia dello Stato del Texas, che li affida temporaneamente a qualche famiglia locale.
«Dobbiamo avere la certezza che qualcuno si prenda cura di loro - spiega la portavoce del servizio, Estella Olguin -. Poi mettiamo sul nostro sito le loro fotografie per permettere alle varie agenzie che si occupano degli sfollati di mostrarli ai genitori che li cercano».
Ma non tutte le riunioni con i genitori sono a lieto fine. Jo Anna Clark rivela casi angosciosi di genitori che hanno riconosciuto i figli, li hanno abbracciati poi, con le lacrime agli occhi, li hanno riconsegnati ai volontari spiegando di non essere in grado di badare a loro.
C’è gente così disperata, senza casa, senza lavoro, senza futuro, spiegano al Servizio protezione per l’infanzia, che si limita a dire: «Teneteli voi». «È gente messa così male - dice Estella Olguin - che non sa cosa fare. È sull’orlo di una crisi isterica, ha bisogno di conforto e non è più in grado di badare ai figli. Nei prossimi mesi i nostri psicologi avranno un gran da fare per convincere queste famiglie della necessità di ricomporsi».
Commentando l’angoscioso dato di 500 bambini dispersi, Jo Anna Clark aggiunge: «È una lista che si allunga di ora in ora, anche se molti genitori si sono felicemente riuniti con i figli. La cosa che mi fa più paura è il numero delle famiglie che non sanno dov’è il proprio bambino.

Questo numero è più alto di quello dei bambini che aspettano di trovare i genitori».

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