Francesco Gambaro
«Se sono ancora vivo, è perché ho chiesto di anticipare l'operazione sacrificando parte dei miei risparmi. Altrimenti avrei fatto la fine di mio padre, morto a causa dei ristagni circolatori provocati da un colpevole ritardo nell'intervento». Emilio Purarelli, oggi è ex un capitano del servizio meteorologico in pensione, che all'età di 85 anni si è imbattuto, suo malgrado, in un penoso caso di malasanità. Che lui riassume in uno slogan neppure troppo forzato: «O paghi, o ti lasciano morire».
I fatti: alcuni mesi fa l'uomo venne ricoverato nel reparto di Ortopedia dell'ospedale di Imperia, dopo essersi rotto un femore cadendo dalla bicicletta. «Quando a maggio entrai in ospedale, tutto quello che avevo letto sulla morte di mio padre mi tornò alla memoria», racconta l'anziano signore. Fu proprio la fine del papà a indurre l'uomo ad appassionarsi alla medicina e al «Manuale di diagnostica e terapia» di A..S. Roversi, per il quale la frattura di un femore deve essere operata «al più presto». Così, «quando il dottore F.A. - racconta l'anziano - dopo avermi annunziato che mi ero rotto il collo del femore, aggiunse che sarei stato operato il 24 maggio, cioè 120 ore dopo la caduta, capii che mi stava condannando alla fine di mio padre perché avrei dovuto aspettare cinque giorni nella forzata immobilità». L'unica speranza era quella di accorciare i tempi dell'operazione.
«Domandai al dottore se era possibile, pagando, anticipare l'intervento», rivela il signor Purarelli nella lettera scritta al Prefetto di Genova e, per conoscenza, alla redazione de «Il Giornale». La risposta positiva non tardò ad arrivare. «Alla mia richiesta il dottore cambiò subito contegno e, in presenza di testimoni, fece alcune cifre. Che io accettati di pagare. Mi dissero che sarei stato operato la mattina del giorno dopo». In realtà l'intervento venne rimandato di altre 24 ore, perché il modulo pre stampato della Usl da far firmare al paziente non era disponibile. «Non saprò mai - rivela l'uomo - in quale misura il giorno di ritardo abbia concorso alla formazione della piaga da decubito al tallone sinistro che mi è costata due mesi di penose cure». Dopo dodici giorni di ricovero, arriva il momento della dimissione. L'uomo si appresta a saldare il conto, quando scopre che gli 8 mila euro pattuiti inizialmente «in presenza di testimoni» sono diventati 10.283, «oltre il 25 per cento di quello che era stato accordato», racconta l'ottantacinquenne. Che alla fine tira fuori un assegno bancario di euro 10.283, prima di fare ritorno a casa, guarito.
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