Sordi a Varese Come 200 pazienti sono tornati al piacere dell’ascolto

«Pensate che avventura meravigliosa abbiamo vissuto e condiviso con i nostri pazienti perché è stata una mescolanza di scienza, di innovazione, di coraggio, ed il tutto è stato permeato da una profonda e umana generosità». Così si conclude l'introduzione di Sandro Burdo, medico specialista della sordità, al libro «Sordi a Varese» (Edizioni Lativa Varese 2008. pag. 973). Una raccolta delle esperienze vissute da pazienti o dai loro genitori per curare il deficit uditivo loro o dei loro figli. Sono quasi 200 le storie che si possono leggere, alcune scritte da persone semplici, altre con un'intensità tale da far invidia a narratori professionisti. Si tratta di sordi grandi invalidi e cioè di una categoria di pazienti non conosciuti dal grande pubblico, se non in modo superficiale o aneddotico. Pochi, infatti, riflettono sul fatto che i sordi non possono comunicare le loro esperienze e la loro profonda sofferenza che coinvolge non solo un organo, ma stravolge la propria persona, la propria famiglia. «La cecità separa gli uomini dalle cose, ma la sordità separa gli uomini dagli uomini», diceva Helen Keller e dal libro emerge questa realtà in tutta la sua drammaticità, tanto che il sottotitolo ricorda che la cura della sordità non è solo il trattamento di una patologia, ma la conquista di qualcosa di molto più intimo che coinvolge la propria personalità, la propria anima.

Oggi, la tecnologia applicata alla medicina permette di ottenere brillanti risultati a patto che una struttura sanitaria competente possa dialogare con pazienti o famiglie profondamente motivate a risolvere il problema. Ogni racconto è preceduto da una scheda con la storia sanitaria del paziente.

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