Dire che qualche protesta era già stata messa nel conto, che si tratta di intolleranze che non riguardano la maggioranza dell'opinione pubblica, non è sufficiente a giustificare l'ostinazione con la quale Ratzinger ha perseguito e persegue il suo viaggio in Turchia. Si tratta, infatti, di una volontà esclusivamente politica dato che non vi sono interessi «pastorali» in grado di motivare la presenza del Capo della Chiesa Cattolica in un Paese profondamente musulmano. Per quanto si sia parlato sempre poco del rapporto fra la Germania e la Turchia ai fini del suo ingresso nella Unione Europea, di fatto tutti sanno che è la Germania il deus ex machina di questo ingresso e non è facile dimenticarsi che l'attuale Pontefice è cittadino tedesco. Tuttavia quello che colpisce maggiormente gli italiani di fronte a questo comportamento, è la contraddizione con ciò che il Papa dice ogni giorno, ciò cui esorta tutti in ogni occasione, fin dal primo giorno in cui è stato eletto, ossia che «è necessario il dialogo». Un dialogo che viene invocato soprattutto e proprio nei confronti dell'Islam.
Un dialogo certamente non può essere imposto ed è questo il punto che sconcerta gli italiani, ma non soltanto gli italiani. Le conseguenze negative sulla strategia del dialogo, nel caso che il Papa non volesse recedere dalla sua decisione, saranno molto pesanti per la coscienza di tutti, perché adesso è proprio il concetto e il significato del dialogo che viene messo in dubbio. Ci troviamo a fare i conti con una realtà, quella dei musulmani, che non gioca con le parole, che non accetta termini alla moda privi di contenuto, che non accredita verità e sincerità ai discorsi che vengono pronunciati in base alla fiducia in colui che li pronuncia.
In Italia sono i cattolici che fino ad oggi hanno fatto le maggiori concessioni ai musulmani in omaggio al principio del dialogo; i cittadini che viceversa hanno tentato di opporre resistenza all'eccessiva cedevolezza nei confronti delle pretese dei musulmani, sono stati sempre accusati non soltanto di non essere tolleranti ma anche di non favorire la «integrazione» degli immigrati, una integrazione che avverrebbe invece permettendo la massima libertà di costumi religiosi e sociali. Ebbene adesso sappiamo che non è così. E non è così perché è errato il concetto di dialogo. Nelle religioni non si può «scambiare» nulla. Non sarebbero religioni, ossia verità credute come tali perché religiose e non per motivi di opportunità sociale o politica. Infatti nessun musulmano in Italia tralascia i propri riti, le proprie preghiere, i propri doveri di fede. La «convivenza» non significa affatto «integrazione» e tanto meno «dialogo» significa soltanto che gli italiani, cattolici credenti e non credenti, permettono ai musulmani di vivere pienamente la propria fede, di costruire i propri templi, di mutilare il proprio corpo in segno di appartenenza con la circoncisione, standosene gli uni accanto agli altri, ma senza nessuno scambio.
Torniamo allora ai due problemi gravissimi che stanno davanti a noi. Il primo è la necessità di chiarire in termini precisi che cosa si intende per «dialogo», visto che non è dialogo quello nel quale ognuno parla la propria lingua. Il secondo è la presenza, con l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea, di 70 milioni di musulmani che potranno installarsi, volendo, in Italia o in qualsiasi altro Paese limitrofo e che non si sottometteranno affatto al clima di benevolenza voluto dai nostri governanti, sollecitati soprattutto dalla Chiesa e dai cattolici. Affacciarsi dal balcone di San Pietro e benedire i turisti che affollano la piazza forse ha illuso il Papa sul consenso che può ottenere nella società attuale. Un consenso, ci sia permesso dirlo, che da parte dei turisti è più un allegro «vogliamoci bene» che non la pienezza di una fede evangelica, di un attento sguardo fisso sulla realtà umana di oggi con gli stessi occhi di Gesù.
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