Sorpassata da destra, la casta mugugna. Ma (come sempre) sarà un successo

La rassegna aperta da La Russa e Sangiuliano, Che annuncia due aiuti concreti per i librai

Sorpassata da destra, la casta mugugna. Ma (come sempre) sarà un successo

Torino. C'è troppa gente di destra. E non è solo una battuta ripetuta qua a là, fra gli stand e la Sala Oro, dove ieri si è tenuta la cerimonia di inaugurazione della edizione numero 35 del Salone del Libro di Torino. E nella Betlemme del gramscismo editoriale, fra l'Einaudi e gli Azionisti d'Ultima Generazione, per gli intellettuali da sempre organici alla narrazione unica del Lingotto non è una bella cosa vedere in giro così tanta destra. Che ieri, istituzionalmente, s'è presa il Salone. La nobiltà culturale d'antico lignaggio torinese, quelli che «questo è il nostro feudo, la cultura è roba nostra», ha deglutito amaro la presenza dei vertici di Fratelli d'Italia alla festa d'apertura della fiera più importante del libro. C'era il presidente del Senato, Ignazio La Russa, e al netto del suo personalissimo show - tra ricordi di letture d'infanzia e un auspicio a evitare la temuta contrapposizione fra vecchie e nuove egemonie - erano parecchi anni che qui non si vedeva la seconda carica dello Stato. C'era il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, il quale - tra un elogio di Piero Gobetti e un invito ad abbattere gli steccati ideologici - ha annunciato due provvedimenti sul libro che se li avesse proposti Franceschini sarebbe venuto giù l'Oval dagli applausi (un equo canone delle librerie per evitare che spariscano dai centri storici e un contributo a fondo perduto per i giovani under 35 che vogliono aprire una libreria nella loro città). Se non avesse anticipato il viaggio in Giappone per il G7 sarebbe arrivata, a sorpresa, persino Giorgia Meloni. Così, obtorto collo e orgoglio ritto, l'intellighenzia del Libro ha salutato tiepidamente il nuovo corso e detto grazie, con commosso entusiasmo, al vecchio direttore, Nicola Lagioia, al suo ultimo mandato: per lui (che sembrava un po' a disagio) una piccola standing ovation. Se la merita. Vero capitano coraggioso, ha portato il Salone fuori dalla tempesta e oggi lo fa approdare, in sicurezza, a quella che (vista la folla di lettori e scolaresche del primo giorno) rischia di essere, come ognuna delle scorse, l'edizione dei record.

RECORD di stand (373, non solo editori ma anche soggetti istituzionali), 48 sale per incontri, oltre 1600 fra presentazioni, tavole rotonde e conferenze (ah: quest'anno all'area espositiva della Fiera si aggiunge un nuovo spazio: la storica Pista 500 della Pinacoteca Agnelli sul tetto del Lingotto, con appuntamenti dedicati all'arte, un posto molto chic, se non piovesse); più tutti gli eventi Off in giro per la città; ma sopratutto la soglia da superare dei 160mila visitatori del 2022. Come ha detto Lagioia, Torino per cinque giorni e cinque notti sarà la capitale mondiale della cultura: Attraverso lo specchio s'intravede un altro futuro.

FUTURO Quello del libro è incerto, tra indici di lettura nazionali bassissimi e proposte editoriali - per quantità e a volte anche per qualità - altissime. Qui ci sono tutti. Il premio Nobel Svetlana Aleksievic (in video collegamento), Alessandro Baricco accolto come una word star, una star della parola (che ha annunciato il suo nuovo romanzo, un «western metafisico»), c'è Susanna Tamaro, c'è Julian Barnes, c'è Andrew Sean Greer, c'è un omaggio a Andrea Camilleri, c'è Javier Cercas, c'è Walter Veltroni (c'è sempre Walter Veltroni...) e ci sono tutti i libri che puoi immaginare. L'importante, per il bene del settore, è acquistarne uno, costi quel che costi.

COSTI Spesa tipo per una giornata al Salone del Libro di Torino. Immaginiamo di venire da Milano, in auto (con l'Alta velocità non è molto diverso): 17 euro di autostrada a tratta; mettiamo 20 euro di benzina; 8 euro di parcheggio (ogni 4 ore); 12 euro di biglietto d'entrata; 10,50 un hot dog e una bottiglietta d'acqua; due euro il caffè. Totale (più o meno): 85 euro. «Quanto ci rimane per comprare i libri?», è la domanda.

DOMANDE La prima: ieri il presidente dell'Associazione italiana editori (Aie) Ricardo Franco Levi, commissario del governo per la Buchmesse, che voleva revocare l'invito al fisico Carlo Rovelli, ha detto: «È stato sicuramente un errore, ho fatto una figuraccia». Bene: e adesso si dimette o no? La seconda: ieri in molti, da Salvatore Merlo sul Foglio a Paolo Mieli a Radio24, hanno difeso con forza la partecipazione al Salone di Alain de Benoist, invitato da Francesco Giubilei, editore e consigliere del Ministro Gennaro Sangiuliano. Strabene. Ma dopo la lezione del caso Altaforte, perché c'è ancora qualcuno che vuole silenziare, contingentare, ghettizzare chi diffonde libri e idee (anche se non ci piacciono)? Ascoltare tutti non sarebbe una buona idea?

BUONISSIMA IDEA Quella lanciata su il Post dallo scrittore Vincenzo Latronico. Giustamente (al netto dello schwa con cui ha lanciato il pezzo su Twitter) fa notare che il Salone del Libro fa guadagnare tutti: albergatori, tassisti, Uber, Airbnb, chioschi Autogrill, allestitori, magazzinieri, gli spacciatori di Borgo Dora, gli ambulanti, le escort e (poco) persino gli editori. Tutti insomma. Tranne chi? Gli autori. In Germania, dove vive e lavora, autori e presentatori dei libri sono pagati.

In Italia, invece, il lavoro intellettuale, chissà perché, è gratis. E se invertissimo la rotta? Se si pagasse anche da noi? Tra gli stand e sui social la proposta agli autori piace molto. E per il resto, buona presentazione e buon Salone a tutti (maschile sovraesteso).

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