Sorpresa, c’è uno scrittore che racconta il Male

Sorpresa, c’è uno scrittore in Italia. Si chiama Andrea Tarabbia e, incredibile, non si occupa di precariato, immigrazione, operai, media, berlusconismo. Si tiene anche alla larga da piccoli riscatti di provincia, saghe regionali o condominiali o famigliari o ombelicali, campagne pugliesi, laziali e toscane.
Ne Il demone a Beslan (Mondadori, pagg. 350, euro 18,50) Tarabbia prende la mira e spara all’obiettivo più grosso: capire cosa è il male, dando voce a Nurpaschi Kulajev (nel romanzo Marat Bazarev), l’unico sopravvissuto dei terroristi che, tra il 1° e il 3 settembre 2004, sequestrarono e massacrarono 334 persone, metà delle quali bambini, nella scuola Numero 1 di Beslan, Ossezia del Nord, repubblica autonoma della Federazione Russa.
L’impresa è da far tremare il calamo, essendo disseminata di rischi: trasformare un criminale in eroe; stravolgere la Storia o al contrario appiattirsi su di essa; buttarla in sociologia spiccia, banalizzando una tragedia. E all’inizio del libro proprio quest’ultimo scivolone sembra in agguato. Il lettore segue infatti Marat alle prese con altri massacri: quelli perpretati dall’esercito «imperialista» (i russi) ai danni dei Ceceni, indifesi inclusi. Poi ritroviamo l’indipendentista Marat (che racconta le vicende dal carcere, dopo il suo arresto) pronto a unire le forze con i fondamentalisti islamici. Il male subito giustifica dunque l’atroce vendetta? I figli senza madre possono lasciare altre madri senza figli? Nella contabilità di Marat, secondo il quale il male si può misurare, certamente sì. Ma col procedere delle pagine entrano in campo altre voci, tra cui quelle delle vittime; e l’orrore appare solo osceno, insensato. Alla fine, Tarabbia lascia capire al lettore quanto i conti non tornino: il male non si può misurare, Marat ha torto. Così il senso di questo libro, così duro da lasciare senza fiato, è riassunto perfettamente dall’epigrafe. Ne trascrivo una parte, uno splendido (e famosissimo) passo dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij: «E se le sofferenze dei bambini saranno servite a completare quella somma di sofferenze che era necessaria a riscattare la verità, io dichiaro subito che tutta la verità non vale un simile prezzo».
È bello vedere uno scrittore italiano osare tanto e spingersi in un territorio già dissodato in tempi recenti da altri autori alle loro prime prove importanti come Tarabbia. Vengono subito in mente due titoli: Le benevole (Einaudi, 2007) di Jonathan Littell e Zona (Rizzoli, 2011) di Mathias Énard. Littell entrò nella testa di una SS e ci fece sprofondare in un abisso di abiezione, in cui il Male è praticato come una consapevole abitudine. Énard entrò nella testa di uno spietato ex combattente croato, poi riciclatosi come spione, e ci fece capire quanto talvolta sia difficile tracciare la linea di confine tra Bene e Male.

Entrambi gli autori si sono misurati con la Storia, come ha dovuto fare Tarabbia (Littell al punto da reggere il confronto con esperti della Seconda guerra mondiale; in quanto a Énard, Zona può essere letto per capire cosa sta succedendo nei Paesi Arabi interessati dalle rivolte).
Sorpresa, c’è uno scrittore in Italia.

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