La sorpresa che arriva dall’estero

Il primo a ricevere notizie incoraggianti dalla dura tenzone elettorale è stato Mirko Tremaglia. Il veterano sorriderà comunque perché l’affluenza alle urne degli italiani all’estero è stata abbastanza elevata e ciò conforterebbe la sua «scommessa» di una vita. Alla soddisfazione potrebbe però mescolarsi dell’amarezza proprio perché la legge elettorale li premia, per ora, solo simbolicamente: in cinque continenti sono milioni ed eleggono meno deputati della Basilicata o del Trentino Alto Adige. Per di più i voti vengono contati a parte, di modo che non incidono sul risultato della Camera e sull’attribuzione del premio di maggioranza. È stata in sostanza una concessione alla sinistra, che per più di mezzo secolo si è opposta tenacemente a lasciar votare gli italiani all’estero nella presunzione, o nell’ipotesi, che siano meno «progressisti» degli altri. Li consideravano, e forse li considerano, come i cittadini degli Stati Uniti debbono aver visto, nei primi decenni della indipendenza, i «lealisti» riparati nel Canada assieme alle giubbe rosse inglesi perché volevano rimanere fedeli al British Empire. Per lunghi decenni hanno goduto di questo diritto gli americani all’estero, i tedeschi, i norvegesi. Tutti tranne noi. Così li lasciano votare un po’ con la condizionale. Se sono «bravi» (cioè votano sufficientemente a sinistra) la prossima volta gli regaleranno qualche seggio in più, dopo averli «educati». Senza una concessione di questo genere, immagino, avrebbero continuato in un morbido ostruzionismo e tolta a Tremaglia la più grande soddisfazione della sua vita.
A meno che. A meno che la contesa per il Senato si concluda in pareggio tra gli italiani d’Italia e affidi agli emigrati espatriati l’ultima parola. Pensiamo se nel corso della lunga notte elettorale i pareri dal resto del pianeta diventassero decisivi. Dall’Europa, naturalmente (anzi, come la burocrazia impone da «Europa, Russia e Turchia») poi dall’America del Sud, indi dall’America del Nord-Caraibi.
E se fossero ancora pari? Interverrebbe l’ultima circoscrizione, la più grande: «Asia, Africa, Oceania e Antartide». Un collegio elettorale un po’ ampio, dal deserto del Gobi al Polo Sud passando per il Medio Oriente. Difficile pensare che ci sia stata una campagna elettorale molto intensa, in Cina, ad esempio, o nello Zimbabwe, o teoricamente, a Gaza. Vivono degli italiani a Gaza? Probabilmente sì. Certo ce ne sono in Irak, soldati e civili, che hanno votato. In Oceania, cioè in Australia, ce ne sono certamente molti, una vera massa elettorale paragonabile a quella di Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile eccetera.
E in Antartide? Ci sono degli italiani in Antartide? Il continente di ghiaccio ha una popolazione variabile: ci va chi ha qualcosa da fare laggiù in quel preciso momento. A quanto sembra in questo momento di italiani ce ne sono. Non soltanto nelle stazioni meteorologiche: più concretamente, ci sono dei cercatori d’oro. Fanno prospezioni e pare abbiano scoperto dei giacimenti ultrapromettenti: pepite di oro purissimo che quasi basta raccoglierle e adornarsene, oppure usarle come ai tempi del Far West, come contanti.

Se quegli scienziati bravi e fortunati hanno trovato il tempo e il modo per esprimere il proprio suffragio, potrebbero (c’è una probabilità su un milione ma c’è) scoprire alla fine della lunga notte dei conteggi che il loro mucchietto di schede surgelate è un tesoro ancora più prezioso: la decisione su chi governerà l’Italia nei prossimi cinque anni. Una ipotesi forse da fantapolitica. Li immaginiamo ad ascoltare in qualche modo i risultati, circondati da pinguini più curiosi di loro.

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